Mancano i medici a causa del numero chiuso. Finalmente Zaia e altri politici cominciano a dire basta. Ma l’Università fa quadrato a difesa

Fino a qualche tempo fa erano pochi a denunciare il numero chiuso a Medicina. Adesso, finalmente, ma solo dopo che si sono accorti dei danni che ha fatto, provocando la mancanza dei medici sul territorio e negli ospedali, ci comincia ad essere uno schieramento favorevole alla sua abolizione. Ed è molto significativo che a volerlo abolire siano soprattutto i governatori e gli assessori alla sanità, cioè quelli che hanno in carico nella pratica quotidiana la salute due cittadini. Al contrario l’Università e il suo ministro sono per mantenerlo.

Zaia ha preso una posizione chiara. ”Da tempo sostengo l’abolizione del numero chiuso per medicina; la selezione – ha detto- deve avvenire sul campo e non con una serie di test, effettuati in maniera asettica e per nulla obiettiva”.
“E’ giusto – continua il presidente del Veneto – che questo dibattito si traduca in realtà: non possiamo continuare a selezionare i nuovi medici pensando che dei ragazzi di 18 anni siano scelti e valutati con dei test. E’ bene che abbiano invece la possibilità di iniziare il loro percorso di studi, di capire cosa significhi lavorare in corsia e in una sala operatoria e quali siano le implicazioni di affrontare l’attività professionale nel suo contesto”
Sulla stessa linea di Zaia (Lega) gli assessori alla sanità del Lazio Alessio D’Amato (Pd) e dell’Umbria il veronese Luca Coletto (Lega), il governatore della Liguria Giovanni Toti (Italia al Centro) e quello della Sicilia Nello Musumeci (indipendente di Destra). Anche ‘Noi con l’Italia’ il partito di Maurizio Lupi si è schierato contro il numero chiuso, tanto da averne fatto un punto del programma elettorale.

Difende invece il numero chiuso il presidente della Crui, la fondazione dei rettori delle università italiane, Ferruccio Resta, ritenendo che “non è un problema di numero chiuso ma serve il coraggio della pianificazione e delle priorità su cui investire”. E anche il ministro dell’Università Cristina Messa, pur annunciando che ”dall’anno accademico 2022-2023 ci sarà già un grande cambiamento per accedere alla facoltà di medicina: non più una sola data, ma un percorso che consenta ai ragazzi dalla quarta superiore di prepararsi, auto-valutarsi e poter tentare più volte nel corso dell’anno il test” afferma che “il numero chiuso è necessario, per mantenere alta la qualità, sia nel caso di una selezione all’ingresso sia nel caso di ‘sbarramento’ al secondo anno di università, come accade in Francia”.
Non un cenno, da parte del Ministro e del presidente dei rettori, sul drammatico problema della mancanza dei medici. Non riescono ad alzare lo sguardo dal loro ‘particulare’. Non si rendono conto che grava sul Ministero dell’Università la responsabilità di aver sbagliato per vent’anni la programmazione del numero dei medici. Già, la programmazione. Perché la corretta dizione di quello che correntemente viene chiamato ‘numero chiuso’ sarebbe ‘numero programmato’. Programmato, come suggerisce il buonsenso, prevedendo quanti medici servono all’Italia. E’ evidente che il Ministero dell’Università ha sbagliato in pieno, altrimenti non ci troveremmo in questa situazione. A meno che la programmazione non l’abbia fatta sulla base delle esigenze dell’Università. Ma questo significa confondere il mezzo con il fine. Ed è sempre il mezzo che commisurato al fine e non il contrario. In parole povere per l’Università che si doveva organizzare diversamente per formare il numero di medici sufficienti al fabbisogno nazionale e non viceversa.
Oggi la gente è incazzata perché mancano i medici. E giustamente. Ma è giusto che si sappia di chi è la responsabilità di questo stato di cose. Ed è una responsabilità gravissima. Non solo del mondo accademici e del ministero dell’Università, ma anche dei governi che hanno lasciato  loro la programmazione anziché assegnarla al Ministero della Salute.

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