I partiti ci stanno ripensando. Le province, così come sono uscite dalla riforma Renzi del 2015, non van bene. Non sono né carne né pesce. Meglio allora tornare al passato e restituire loro quel ruolo istituzionale intermedio fra i comune e le regioni che avevano prima.
Non c’è ancora in proposito un’iniziativa legislativa del governo, ma ci sono sei disegni di legge, praticamente di tutti i gruppi, depositati in commissione Affari costituzionali del Senato che ripropongono l’elezione diretta dei presidenti delle province, dei sindaci metropolitani e dei componenti dei consigli provinciali e metropolitani. Si tratta di proposte dei singoli senatori, ma che indicano una tendenza che si prevede possa a breve trovare una tale condivisione da diventare una proposta trasversale destinata ad essere approvata con una certa facilità. Intanto i ddl sono approdati in commissione Affari costituzionali e cominceranno ad essere esaminati fra due settimane.
Il ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli si è detto disponibile: “Credo che sia necessario ricreare il soggetto provincia, che debba essere eletto nel suo presidente e nel consiglio con una elezione diretta”.
Un’ importante apertura arriva anche dai Cinque Stelle, che un tempo sostenevano l’abolizione: “L’ultima riforma – sottolinea Giuseppe Conte – ha lasciato le province in un limbo. Tutte le forze politiche devono impegnarsi e non lasciare una riforma a mezza strada. Ci siederemo al tavolo con spirito costruttivo per ripensare le province, ma non vogliamo che sia un poltronificio. Insomma non devono diventare uno sbocco occupazionale per i partiti”.
Proprio la settimana scorsa L’Adige, prendendo spunto dagli accordi fra i partiti per l’elezione del presidente della provincia di Verona, denunciava il metodo dell’elezione indiretta e del voto ponderato che è oggi in vigore, conseguenza della riforma Renzi. Una riforma che non aveva avuto il coraggio di abolire le province, come veniva reclamato allora da più parti in nome della spending review e che aveva partorito un’istituzione che non è né carne né pesce con un sistema elettorale assurdo.