Recensione di Le Nozze di Figaro al Teatro Filarmonico,

(Di Gianni Schicchi) Un commedia per musica e non un’opera buffa, la definiva Lorenzo Da Ponte quando parlava del suo libretto Le nozze di Figaro dalla commedia di Beaumarchais, l’opera che è tornata festosamente al Teatro Filarmonico ad inaugurare la prima produzione 2023 della Fondazione Arena. E non sbagliava di certo Da Ponte perché nel suo fortunato consorzio con Mozart, i due riescono a superare i confini dei generi, sia nel teatro che nello stile musicale, liberando l’opera buffa dai suoi stereotipi ancora indebitati con la commedia dell’arte. Oltre che all’assoluta perfezione della drammaturgia e del testo, nelle Nozze esiste un’improvvisa capacità di ritrarre i vari tipi umani specialmente con la musica che allarga il territorio dell’opera buffa con sapienti prestiti dallo stile serio.

L’opera supera l’attualità del tema sociale per collocarsi in una dimensione superiore: quella della commedia umana, diventando essenzialmente un dramma dei sentimenti dove tutto si confonde: amore, gelosia, sesso, riscatto di classe, malinconia, gioco, leggerezza. Non ha figure egemoni, ma tutti i protagonisti sono mossi da uno identico motore: il bisogno d’amore, sia semplicemente un desiderio sessuale, oppure la nostalgia di una felicità perduta o ancora minata dal sospetto. La sua grande novità risiede nella costruzione drammatica, con i pezzi d’assieme, vero punto di forza nei duetti, terzetti, sestetti e nei due smisurati finali del secondo e quarto atto. Il secondo soprattutto si rivela il punto magistrale dove in un crescendo di tensione drammatica irresistibile, gli attori in scena passano da due a sette in venticinque minuti di musica ininterrotta e fluviale.

L’impianto dell’opera creato da Ivan Stefanutti è semplice e lineare, ma sufficientemente efficace, come i costumi, di taglio settecentesco e la non eccesiva oggettistica di scena. La regia dello stesso Stefanutti punta molto sull’irruenza giovanile, sull’ironia, il gusto per il sorriso, lo scanzonato divertimento rendendo godibilissimo il dipanarsi degli intrecci. La bravura dei cantanti riesce a sopperire a qualche lacuna dell’impianto, con una superlativa Gilda Fiume (debuttante nel ruolo della Contessa) per una linea di canto nobile e confacente al suo personaggio, di una spanna sopra gli altri colleghi. Anche Sara Blanc (Susanna) è stata quasi perfetta, tutta arguzia, vivacità e vocalmente a fuoco. Accanto a lei, il Figaro del gardesano Giulio Mastrototaro (debuttante a Verona) è buon cantante, forse troppo istrionesco ed enfatico nella recitazione. Calato perfettamente nel suo ruolo, invece Alessandro Luongo, un Conte aristocratico, introverso, anche amante focoso grazie ad una vocalità asprigna e intonatissima, mentre un sorprendente Cherubino si è rivelata Chiara Tirotta, a suo agio vocalmente e scenicamente nelle vesti di uno dei più indimenticabili personaggi mozartiani. Affiatatissimo tutto il resto del cast, con le brave Barbarina di Elisabetta Zizzo e Marcellina di Rosa Bove, l’ottimo Don Bartolo di Salvatore Salvaggio, il Don Basilio di Didier Pieri, il Don Curzio di Matteo Macchioni, l’esuberante Antonio di Nicolò Ceriani, le due contadine Emanuela Schenale e Tiziana Realdini.

L’ormai esperto direttore Francesco Ommassini ha saputo tenere in pugno orchestra e cantanti senza mai perdere tensione nel corso dei quattro atti, attento ad accompagnare il canto e a mantenere sempre trasparente il variatissimo gioco strumentale, in perfetta intesa con gli ex colleghi dell’orchestra. Filarmonico esaurito, con forte presenza di pubblico giovane, favorito da un costo del biglietto alla sua portata. Serata di successo con prolungati applausi agli interpreti.

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