Ristorazione, a Nordest non si molla: ha il tasso di abbandono più basso d’Europa

La ristorazione veneta e del Nordest regge meglio del resto d’Europa la pandemia: una ricerca di The Fork (è la principale piattaforma per le prenotazioni online di ristoranti) registra infatti nella nostra regione un tasso di abbandono per chiusura dell’attività fra i ristoratori del 7,8%, un terzo in meno della media italiana che è pari al 10.3% sul territorio nazionale che è in linea con quello di altri paesi europei, come la Spagna (10.7%) e la Svizzera (11%). Il Nordest fa meglio della stessa Francia (9.2%), mentre Portogallo e Paesi Bassi registrano i tassi più elevati, rispettivamente del 13,3% e del. 15.5%

Il Nordest fa meglio dell’area piemontese e lombarda – tasso di abbandono al 10,3% – del Centro (9,4%) e del Sud e Isole (9,6%).  Le disparità geografiche sono evidenti anche tra le 14 Città metropolitane italiane. Nonostante la buona riuscita della stagione estiva, i più alti tassi di abbandono si evidenziano in aree turistiche costiere come Genova (16%), Messina (12,8%) e Catania (11,9%). Ma le località balneari riescono anche ad avere i tassi di abbandono più bassi, come nel caso di Palermo (7,9%), Venezia (7,2%), Reggio Calabria (6,5%).

Per quanto riguarda le misure messe in atto dal precedente  governo per aiutare il settore, TheFork ha condotto un’indagine su oltre 1.000 ristoranti, per comprendere meglio l’impatto della pandemia sui livelli occupazionali nel settore della ristorazione: il 52% degli intervistati ha  applicato la cassa integrazione a tutto il personale, mentre quasi il 20% lo ha fatto per più della metà del personale. Grazie a queste misure, circa il 70% delle aziende è riuscito a non licenziare nessuno dei propri dipendenti. Purtroppo, il 24% ha dovuto licenziare parte del personale, mentre il 6% ha dichiarato di aver lasciato a casa tutto lo staff. Il 73% dei ristoranti intervistati ha detto di aver ricevuto aiuti governativi, mentre il 27% ha dichiarato di non aver ricevuto nulla. Dei ristoranti che hanno ricevuto aiuti finanziari, quasi tutti (92%) si sono detti insoddisfatti e hanno trovato l’importo troppo basso per sopravvivere.

Cosa potrà accadere quest’anno? Una comparazione con la fine della prima ondata 2019 lancia segnali di ottimismo: a livello europeo, il comparto ha attraversato tre mesi difficili da marzo a maggio 2020. Tuttavia, durante i mesi estivi, il settore è riuscito a recuperare un numero accettabile di commensali rispetto al 2019, anche se inferiore agli anni precedenti a livello globale: -24% a luglio, – 18% ad agosto. Questa diminuzione può anche essere collegata al fatto che in alcuni mercati erano ancora in vigore restrizioni con una conseguente riduzione dei posti disponibili.

Questa ripresa infatti ha mostrato disparità geografiche e penalizzato soprattutto le grandi città, private del turismo straniero. Parigi, Lione, Madrid, Barcellona, Roma, Milano, Amsterdam, Rotterdam, Ginevra, Losanna, Lisbona, Porto, Bruxelles, Stoccolma, Copenaghen hanno segnato un -39%  a luglio e agosto. Il decremento è stato complessivamente inferiore nelle aree turistiche  europee (Bruges, costa belga, Mediterraneo / Atlantico / Bretagna (FR), Puglia, Sardegna, Campania, Den Haag, Haarlem, Algarve, Madeira, Baleares, Comunidad Valenciana, Andalucia, Vallese, La Riviera – CH) attestandosi complessivamente a -27% a luglio e – 14%  ad agosto. In particolare, nelle località di villeggiatura italiane la performance estiva è stata particolarmente positiva al punto che nelle province di Ancona, Livorno e Siracusa e nella città metropolitana di Napoli è stata riscontrata una crescita percentuale dei coperti prenotati che risultano superiori al 2019.

Questa ripresa si è verificata soprattutto grazie alla popolazione locale e al turismo interno mentre sono calati drasticamente rispetto al 2019 i viaggiatori internazionali. Interessante notare che il numero totale di commensali non è diminuito drasticamente, il che significa che i clienti domestici hanno compensato la perdita di domanda internazionale. Durante questi mesi, i ristoranti hanno dovuto reinventarsi diversificando la loro attività: i servizi di consegna a domicilio e take-away sono cresciuti. A oggi su TheFork il 10% offre il delivery e l’12,5% permette l’asporto.

Sempre secondo le analisi di TheFork su un campione di oltre 4mila gourmand, il 52% ha dichiarato di sentirsi più al sicuro al ristorante che a casa di privati, il 19% si è dichiarato più sicuro a casa, mentre il 30% ha detto di non sapere. «L’industria della ristorazione è gravemente ferita da oltre un anno di mancata attività. In questi mesi ha però dimostrato una grande resilienza e capacità di aggiornamento attraverso la crescita della digitalizzazione. Siamo stati al fianco dei nostri Partner con varie iniziative: abbiamo offerto la nostra piattaforma per pubblicizzare le loro attività di delivery gratuitamente, sviluppato le Gift Card (carte regalo), annullato le commissioni per le versioni più avanzate del gestionale e molto altro. Queste attività si sono tradotte in un investimento complessivo a livello globale di quasi 25 milioni di euro» commenta Andrea Arizzi, Head of New Business di TheFork.

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