SSN. Liste d’attesa lunghe. Così bisogna rivolgersi al privato e il principio universalista diventa solo formale. L’unico modo per garantirlo è stabilire una franchigia

(di Paolo Danieli) La sanità è stata per molti anni trascurata dalla politica che s’è accorta di quanto sia importante solo col Covid.  Non se ne parlava più dal 1978, quando era stato istituito il Servizio Sanitario Nazionale, passando dal sistema mutualistico a quello universalistico. Un cambio epocale. E giusto, il cui merito va alla Prima Repubblica che sancì il principio sacrosanto che ognuno ha il diritto di essere curato per il semplice fatto di esistere. Non perché lavoratore di questo o di quel settore e quindi assistito da questa o da quella mutua.
Il sistema mutualistico era stato istituito dal fascismo, conseguente alla promulgazione della Carta del Lavoro nel 1927. Con esso era garantita l’assistenza sanitaria al cittadino e alla sua famiglia in quanto lavoratore. Il sistema delle mutue è andato fino al 1978, quando si passò al SSN. Un sistema che rappresenta il massimo della civiltà e che il mondo c’invidia, specie in quei paesi dove quando arrivi al pronto soccorso prima di prenderti in carico ti chiedono la carta di credito o per fare un’operazione ti devi indebitare o vendere la casa.

Ma se il principio universalista su cui il SSN è fondato rimane valido, altrettanto non si può dire della sua applicazione pratica. Con l’andare del tempo, con l’aumentata richiesta di salute e con l’invecchiamento della popolazione la sanità italiana ha cominciato a fare acqua. Finanziamenti insufficienti, mancanza di personale, disorganizzazione hanno fatto sì che i cittadini, pur avendo diritto ad essere curati gratis dalla sanità pubblica, siano stati costretti a rivolgersi a quella privata. Pagando. Oggi è sempre più frequente che per fare una Tac, una risonanza, un’ecografia, una visita specialistica, se non si vuole aspettare dei mesi, si deva ricorrere al privato. Il fenomeno sta diventando tale che il diritto ad essere curati sta diventando solo formale, perché in pratica viene vanificato dalla disorganizzazione e dalle liste d’attesa incompatibili con i tempi necessari per una pronta diagnosi. Per questo oggi le strutture sanitarie pubbliche il Italia rappresentano solo il 41,2% del totale.

Il problema, come sempre, sono i soldi. Dicono che non ci sono abbastanza risorse. Ma non ci crediamo, perché ne vediamo destinate a settori che dovrebbero venire dopo la salute. Ma, ammesso e non concesso che sia così, bisogna correre ai ripari. Se dopo mezzo secolo il SSN non sta più in piedi bisogna cambiare qualcosa. Proprio per salvare il principio universalista.

Il problema del finanziamento potrebbe essere risolto stabilendo, fatta salva la fascia di povertà,  una franchigia, al cui interno le prestazioni vengono pagate. Per esempio i farmaci sotto una certa cifra o quelle prestazioni per le quali ci si rivolge al privato. In questo modo si potrebbe finanziare il SSN e garantire l’effettiva gratuità di tutte le cure per le fasce più deboli e per tutti gli altri di quelle al di sopra della franchigia, che sono poi quelle che contano davvero per la salvaguardia della vita e della salute. In poche parole se facciamo pagare l’antibiotico da 10 euro, cifra che è alla portata di decine di milioni di italiani, con quei 10 euro moltiplicati per quei milioni si può finanziare un sistema senza liste d’attesa, con personale pagato meglio e con servizi di prim’ordine.  

Ci si chiederà: visto che è così logico, perché non si fa? Semplice, per demagogia. Perché nessun partito ha il coraggio di proporre questa ricetta per paura di perdere consenso. Ma è una questione di serietà. Ma gli italiani non farebbero fatica a capire che chi lo propone è l’unico che non li prende in giro.

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