Tacciano le armi, ma soprattutto tacciano i politici italiani. Veronesi inclusi

(di Bulldog) C’è una località, nelle appena riconosciute repubbliche di Donetsk e Luhansk – casus belli dell’aggressione russa all’Ucraina -, che a noi Italiani dovrebbe far tremare i polsi: pochi chilometri ad est di Luhsansk, ancora all’interno di quello che una volta era il confine russo-ucraino. Quella località si chiama Nikolayevka ed è la tomba dell’Armir: migliaia di ragazzi italiani sono morti per sfondare l’accerchiamento sovietico e riuscire a mettersi in salvo. Migliaia di ragazzi in grigioverde, centinaia di ragazzi veronesi (il 6. Reggimento Alpini Verona scomparve, venne annientato, proprio lì) mai più tornati “a baita”.  La ricordiamo come una vittoria – abbiamo rotto un accerchiamento praticamente a mani nude -, ma è il simbolo di una brutale sconfitta  frutto di una follia che oggi, ottant’anni dopo, gli aggrediti di allora replicano nella parte di aggressori.

Ora, a nemmeno 24 ore dall’attacco russo, in Italia la politica si sta già dividendo fra chi è, od era, amico di Putin e chi è, o era, amico della Nato. Chi sta per Kiev, chi per Mosca. Chi fa marcia indietro precipitosamente e chi non ha nemmeno capito la posta in gioco. E’ la rappresentazione grottesca di una società che non ha mai saputo andare oltre ai Guelfi e ai Ghibellini, che nemmeno davanti ad una tragedia alle porte d’Europa riesce a mostrare un volto solo, una volontà univoca.

Ebbene, ottant’anni dopo altri ragazzi in grigioverde sono di nuovo a poche centinaia di chilometri da Nikolayevka in armi. Sono in Romania, a difendere lo spazio aereo meridionale d’Europa a pochi secondi di volo dai bombardieri russi; sono in Lituania, nel battlegroup della Nato (e se si chiama così una ragione ci sarà…) a difendere le indipendenti, anseatiche, repubbliche baltiche.  Mille fra alpini e bersaglieri – che ottant’anni fa a piedi percorsero queste lande – sono pronti a muovere per difendere il lato orientale della Alleanza che ci ha protetto sino ad oggi. L’ammiraglia della nostra flotta – la portaerei Cavour – è in mare, davanti al Bosforo, con navi francesi e statunitensi a “controllare” le mosse della marina russa coi suoi F35.

Possiamo dividerci fra chi è, o era, amico di Putin e chi no. Possiamo cercare di difendere legittimi interessi economici. Ma non possiamo permetterci il lusso di lasciare i nostri ragazzi da soli. Non possiamo permettere a delle polemiche strumentali di minare la consapevolezza di questi ragazzi e dei loro comandanti. Non possiamo che dubitino della compattezza e della serietà del loro Paese che li sta chiamando ad una prova dagli esiti imprevedibili. E’ il loro mestiere, certo, ma è nostra la bandiera sulla loro divisa.

Prima di sparare l’ennesima cazzata nei prossimi comunicati stampa e nei tiggì, politici di destra e di sinistra, di Verona e di Roma, pensate che avete sulla linea del fuoco i nostri ragazzi. Quindi, per cortesia, state zitti. Non è roba per voi. Parlerete un’altra volta.

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