(pd) Verona è una città che dorme. Abulica. Tutto è fermo. Nessuno slancio. Nessuna reazione. Neanche a fronte degli scippi ripetutamente subiti. Fortuna che abbiamo l’Arena, la Casa di Giulietta – ciàpemola fin che la dura…- qualche Fiera, l’Amarone. E che il buon Dio l’ha buttata lì in un luogo piuttosto bello e soprattutto strategico. Altrimenti il sonno si sarebbe già trasformato in morte.

Capito tutto questo, ci si può dare anche la spiegazione di come mai Tommasi ne sia diventato il sindaco. La rappresenta fisiognomicamente meglio di chiunque altro, anche se lui di Verona non è. I veronesi, scegliendolo, hanno reso visibile al di là di ogni ragionevole dubbio la condizione della città. A poco meno di un anno dalla sua elezione i cittadini, anche quelli che l’hanno votato, si chiedono, non tanto che cos’ha fatto, ma se c’è. Di Sboarina dicevano che non faceva niente. Di Tommasi si chiedono se esiste. Questa è la sensazione generale. Ed è giusto che sia così. 

Il primo cittadino dev’essere omogeneo alla città. Mettere a capo di Verona assopita un sindaco iperattivo, che salta di qua e di là, che inventa, che batte i pugni, che vada a rompere i coglioni a Venezia e a Roma e che magari si metta anche a gridare se necessario, sarebbe un’insopportabile discrasia. Tale che la città potrebbe anche svegliarsi di soprassalto. E questo, ovviamente, non sta bene. Soprattutto a lorsignori che per fare i loro affari vogliono che continui tutto così. E anche la politica, educatamente, s’è adeguata allo stato di Verona. Parla sottovoce. Evita di fare anche il più piccolo rumore. Fa piano. Per non svegliarla.