(Di Gianni Schicchi) Dopo tempo immemorabile, Werther di Massenet é ritornato al Teatro Filarmonico. La trama di Edouard Blau, Paul Miliet, Georges Hartmann, è molto simile a quella del romanzo epistolare di Goethe: il giovane Werther si innamora della bella Charlotte, che purtroppo è già promessa ad Albert e non è intenzionata a sciogliere il fidanzamento, per non tradire il giuramento fatto alla madre morta. Werther dichiarerà più volte a Charlotte il proprio amore, ma verrà respinto e disperato finirà per togliersi la vita. Le differenze sono minime, infatti l’arco temporale in cui si svolge l’azione è lungo pochi giorni e precede il Natale nell’opera musicale, mentre la prima lettera del romanzo epistolare viene scritta il 4 maggio e l’ultima il 22 dicembre. 

Massenet ha scelto di non comporvi grandi arie indimenticabili e di non relegare l’orchestra al compito di accompagnare il canto: gli strumenti musicali sono i protagonisti e la voce dei cantanti preferisce il dialogo al canto. Se le parole raccontano la storia, le note commentano gli avvenimenti in scena, rivelano i moti dell’animo dei personaggi e suggeriscono allo spettatore quali emozioni provare. I sentimenti sono un elemento portante del Romanticismo e della trama dell’opera, per cui la scelta del compositore non è casuale. Solo nel terzo atto Charlotte inizia a cantare un accordo perfetto e la sua prima melodia, mentre Werther intona un’aria memorabile. Sono inoltre presenti numerosi leitmotiv, dei temi musicali ricorrenti che si imbevono di riflessi schumanniani e wagneriani, ma dove si avvertono anche il contemporaneo Debussy, citazioni dal “Serraglio” mozartiano e da La Traviata di Verdi che riecheggia nei gioiosi canti che entrano dalla finestra d casa del protagonista morente. 

Il tenore russo Dmitry Korchak è un Werther ideale, dal timbro caldo, compatto, maschio nelle sue spontanee screziature di sensualità e nell’esprimere la sottile sensitività della musica. Ma colpisce anche il suo fraseggio, che si giova tra l’altro di un eccezionale controllo del fiato, a plasmare un personaggio fantastico che evita ogni caduta nell’esangue sentimentalismo: una trappola tesa un po’ da tutta la musica francese. Vaselina Berzhanskaya, mezzosoprano pure russo, ha dato vita alla sua Charlotte con compostezza, tormentata dai sentimenti contrastanti.  Pensosa ma mai seriosa, intensa senza sconfinamenti in quel verismo strappacuore cui si indulge spesso nell’intonare “Va, laisse couler mes larmes”. Una partecipazione molto intensa, di ampia tessitura vocale, dalle frequenti e improvvise escursioni tanto in alto quanto in basso. 

Anche Gézim Myshketa ha disegnato con eccellenza il suo Albert – ed è una rarità cospicua – nel quale eloquenza e contegno si equilibrano mirabilmente. Dal canto suo nemmeno Veronica Granatiero ha sfigurato nel 

ruolo di Sophie, evidenziato con un accento sempre spigliato, senza alcuna caduta nella smanceria. Bene intonate tutte le parti di fianco, con in testa le voci bianche di Alive dirette da Paolo Facincani, che hanno impressionato per l’ottima preparazione nei panni dei vispi, simpatici e talvolta discoli bambini che giocano e cantano le canzoni di Natale. 

È piaciuta la direzione di Francesco Pasqualetti impegnato a sottolineare in maniera congrua ogni momento di questo vero capolavoro, per niente facile da rendere nella sua complessità, collocato com’è alla fine dell’Ottocento in un momento di grandi mutamenti, anche nella musica. La regia di Stefano Vizioli opera con lo scenografia di Emmanuele Sinisi in maniera minimalista: un grande foglio bianco, accartocciato in alto da una mano nervosa, che talvolta accoglie parole che si compongono e scompongono, macchiate da un inchiostro che scola, diventando lacrima: un tentativo scenografico di rapportarsi allo stile epistolare della fonte originale tedesca. Durante l’overture Vizioli riprende poi il tema delle lettere, infatti Charlotte e Werther si scambiano una missiva. Se il giovane è destinato al suicidio, anche alla protagonista femminile spetta una sorte amara: nell’ultimo atto la vediamo malata e in sedia a rotelle. 

L’allestimento scenico, proveniente dai Teatri di OperaLombardia, presenta uno spazio vuoto sul palcoscenico, dove i rari mobili troneggiano incontrastati: si tratta di una poltrona, un cavallo a dondolo, una panchina, delle casette blu, uno scrittoio e, sul finale, il letto su cui spira Werther. Le proiezioni sullo sfondo bianco di Imaginarium Creative Studio, commentano la musica, creando scenari romantici e poetici. Il palcoscenico è leggermente inclinato, agevolando l’osservazione dei movimenti dei cantanti. Una piccola porzione sullo sfondo suddivide la scena in due livelli, creando maggiore profondità e rendendo lo spazio più articolato.

Abbiamo visto la recita di venerdì 31, non molto affollata di pubblico che però ha accolto con vistosi applausi tutta la compagnia di canto. 

(Gianni Schicchi)