(di Gianni De Paoli) Le piste ciclabili sono un fiore all’occhiello dell’amministrazione Tommasi, da questo punto di vista efficientissima. Ne ha dipinte dappertutto:
‘Corsie’, se solo delimitate in bianco con il simbolo della bicicletta di tanto in tanto, per segnalare agli automobilisti che all’interno della riga bianca è il ciclista ad avere tutti i diritti di chi circola. E che l’automobilista può sì invaderla, ma solo se in quel momento non c’è una bici che passa. Altrimenti scatta l’infrazione e, peggio, in caso di un qualche malaugurato contatto, la colpa è dell’automobilista senza se e senza ma.
‘Piste ciclabili’, delimitate in bianco e con il tappeto rosso d’asfalto a indicare che lì è sua maestà il ciclista l’unico abilitato a transitare. Guai a chiunque altro ci passi sopra!
L’intento dell’amministrazione è che tutti lasciassero a casa la macchina e girassero in bicicletta. Così da risolvere in un sol colpo il problema del traffico e quello dell’inquinamento che, con le nuove norme ecologiche, sarà sempre meno di com’era una volta, ma non sarà mai come quello di una bicicletta.
Il fatto è che in bici la gente non ci va. O meglio, ci vanno solo in pochissimi. E così le piste ciclabili sono perennemente deserte. Come quella di pregevole fattura, costata un bel po’ di soldi a tutti i veronesi, automobilisti e scooteristi compresi, di via Colombo, tanto per dire la prima che viene in mente.
Ma c’è di più. Capita spesso di vedere i ciclisti ignorare di avere a disposizione tanto ben di dio e fare lo slalom fra le auto ferme ai semafori o più semplicemente procedere sul bordo destro della carreggiata, a fianco del marciapiede, come se la pista ciclabile non esistesse.
Ma ciò “non costituisce reato”. Anche perché chi usa il velocipede pensa e si muove come un pedone. Va sul marciapiede, passa col rosso, ignora i sensi vietati e i divieti di circolazione e col buio gira senza fanale, proprio in forza di una ritenuta superiorità morale data dal fatto che non inquina. Ma questo è rischioso. Per sé e per gli altri.
Il 99% gira senza caschetto protettivo. Anche quelli che con le bici elettriche sfrecciano alla stessa velocità dei motorini. Ma non inquinare non significa avere la licenza di fare tutto quel che si vuole compresa quella di farsi ammazzare. Eh sì, perché tutti questi comportamenti, soprattutto quello di circolare senza luci nell’oscurità, equivale a farsi uccidere, come spesso è accaduto.
E i vigili, condizionati dal “ciclisticamente corretto”, si guardano bene dal sanzionarli e chiudono tutti e 2 gli occhi.
Le piste ciclabili compulsive
L’impostazione ideologica dell’amministrazione Tommasi è di far girare tutti in bicicletta. Apprezzabile, ma irrealizzabile. A differenza di altre città la nostra non è piana, come Amsterdam. Anche se non sembra, quasi tutte le strade sono in lieve salita o discesa. E già questa è una difficoltà. Perché, specie le persone non più giovani, che sono la maggioranza, hanno una capacità muscolare limitata.
Ci sono poi da considerare le distanze. Una persona che abita a Montorio e deve recarsi a lavorare in Borgo Trento o in Zai, quanti chilometri si deve sobbarcare ogni giorno, andata-e-ritorno? E quando arriva sul posto di lavoro, specie d’estate, ha la possibilità di farsi una doccia per rendersi presentabile dopo la sudata?
E le strade? Vogliamo parlare di com’è il fondo stradale a Verona, pieno di buche, di rattoppi, di porfidi smossi, il tutto da affrontare senza sospensioni?
E poi il ciclista, lui che non inquina, quanto smog deve respirare durante il tragitto? Non è certo salutare. Andare a lavorare in bici non è come andare a fare una biciclettata in campagna!
Considerazioni, queste, che fan tutti. Anche quelli che in bici ci andrebbero, ma… Tutti, ma non l’amministrazione con la pista ciclabile compulsiva.