(di Sebastiano Saglimbeni) “La principale rappresentazione simbolica del denaro nell’iconografia medievale è una borsa che, appesa al collo di un ricco, lo trascina all’Inferno”. Proposizione, questa, riportata vistosamente sulla quarta pagina di copertina di un libro firmato da Jacques Le Goff.
La proposizione, mentre esprime la netta condanna del denaro, predicata, in altri termini, nel canto XVII dell’Inferno dantesco, motiva a leggere ancora e a meditare l’opera dal titolo Lo sterco del diavolo,edita da Laterza, non più nelle librerie.In questa, Le Goff sviluppa il tema riguardante il “maledetto e sospetto denaro” nel Medioevo. Maledetto in vero e sospetto sin dai tempi più lontani, se ricordiamo che Virgilio Marone nel III libro dell’Eneide aveva definito l’oro, il denaro, come segue: “Quid non mortalia pectora cogis,/ auri sacra fames!”(A che cosa non avvilisci le menti mortali, /o maledetta ingordigia dell’oro!”
L’opera, tradotta nella nostra lingua da Paolo Galloni, si compone di quindici brevi capitoli che agilmente raccontano l’epoca medioevale molto complessa e, come tale, sempre oggetto di studi.
Specificatamente, i quindici capitoli trattano il periodo dell’Impero romano con la sua eredità e la cristianizzazione, il feudalismo di Carlo Magno, il decollo della moneta e del denaro, il Duecento, secolo felice del denaro, gli scambi e la rivoluzione commerciale, il denaro e la formazione degli stati.
Lo sterco del diavolo e l’usura
Con descrizione appassionata, accompagnata da riporti di testi narrativi, si leggono i capitoli che riguardano l‘indebitamento dell’usura, le nuove ricchezze e le nuove povertà, la crisi della moneta, il perfezionamento del sistema finanziario, lo sviluppo delle città medioevali, gli Ordini dei mendicanti, l’umanesimo, il mecenatismo, il capitalismo e la caritas cristiana.
Per quanto concerne la storia dell’usura, trattata verso la metà dell’opera, leggiamo un brevissimo riferimento agli Ebrei. Secondo l’autore, “l’immagine dell’Ebreo usuraio” non va valutata “tanto un dato di realtà quanto un fantasma che preannuncia l’antisemitismo del secolo XIX”. Contro l’usura, la posizione della Chiesa, la quale annotava come il “prestito implicava il pagamento di un interesse da parte del debitore”, interesse che vietava da parte di un creditore cristiano ad un debitore cristiano.
Le Goff si rifà ad alcune scritture della Chiesa. Del Vangelo di Luca cita: “Mutuum date, nihil inde sperantem (Prestate, senza sperare nulla); del Decreto di Graziano cita: “Quicquid ultra sortem exigitur usura est (Tutto ciò che viene riscosso al di là del capitale è usura)”; da Tommaso d’Aquino, che si era rifatto ad Aristotele, cita: “Nummus non parit nummos (Il danaro non partorisce denari).
Così, la Chiesa nel Medioevo fu fermamente severa e non ammise alcuna scusante per l’usuraio, perché “l’usura è come la morte”. Agli usurai veniva, per questo, negata la sepoltura religiosa ed una sola speranza che sarebbe rimasta per loro di evitare l’inferno sarebbe consistita nella restituzione, prima della morte, degli interessi ricevuti. Per la Chiesa, l’usuraio non andava solo condannato, ma esposto al ludibrio degli uomini.
In seguito, il prestito a interesse, ch’era stato visto come l’identificazione dell’usura, venne progressivamente, nel corso dei secoli XIII, XIV e XV, “a certe condizioni”, riabilitato. La riabilitazione era nata “dal desiderio degli usurai di essere considerati buoni cristiani e dalla volontà di parte di una Chiesa di salvare anche i peggiori peccatori introducendo nelle proprie concezioni della vita umana e della società quegli aggiustamenti che sembravano necessari di fronte ai mutamenti storici in atto, non ultimo la diffusione del denaro”. Così la diffusione dell’uso del denaro si era potuta conciliare con “l’esigenza di caritas”.
“Nel corso del Medioevo la Chiesa”, osserva l’autore, “ha senza dubbio contribuito a riabilitare, a determinare condizioni, i professionisti del denaro favorendo la comparsa di una visione positiva della ricchezza presso la ristrettezza élite dei cosiddetti preumanisti del XIV e del XV secolo. Se il denaro ha progressivamente cessato di essere maledetto e infernale, per tutto il Medioevo esso è rimasto tuttavia quantomeno sospetto”.
Ricordiamo, infine, che Jacques Le Goff è uno dei massimi storici del Medioevo. Di lui non vanno dimenticate due grandi opere: San Francesco d’Assisi e Dall’usuraio al banchiere. Ci deriva, dall’una il valore della povertà e la serenità, dall’altra, la sorte del denaro.