(di Gianni Schicchi) Una prerogativa de I Virtuosi Italiani è senz’altro quella di dare spazio alle giovani promesse del concertismo, italiano possibilmente, ma nel contempo di trovare pure celebri solisti che calcano i palcoscenici internazionali per additarli al pubblico veronese. Ecco dunque, dopo l’acclamato violinista Sergej Krylov di quindici giorni fa, affacciarsi ieri sera al Teatro Ristori, un altro famoso protagonista della scena: il pianista coreano Kun Woo Paik.
Il passato di Paik è cosparso di numerose performance in tutto il mondo e di incisioni discografiche cha hanno lasciato il segno. In quasi sessant’anni di attività, il famoso solista può gloriarsi di aver affrontato tutto il repertorio più celebrato del pianoforte. Nella sua venuta veronese gli è stata data l’opportunità di eseguire il celebre Concerto n° 2 di Chopin nella trascrizione per orchestra d’archi, confacente così alle esigenze d’organico de I Virtuosi Italiani, che l’hanno affrontato in altre svariate occasioni.
Una pagina non meno difficile, ma meno spettacolare del Concerto n. 1 op. 11, forse più poetica o meglio più rivelatore dell’intima, segreta poesia di Chopin. Lirica, sognante, malinconica, elegantissima, che si accende di una vampata drammatica solo nella parte centrale del secondo tempo, che non per nulla è ispirata ad una cantante come Kostancja Gladkowska, allieva di canto di cui Chopin s’invaghì senza mai decidersi di farsi avanti.
Un secondo Concerto dal finale anche spigoloso, in cui Paik ci ha dato l’impressione di voler far parlare Chopin piuttosto che farlo cantare: una scelta che potrebbe far pensare all’eresia – lo stesso Chopin raccomandava ai suoi allievi di suonare il pianoforte pensando al fraseggio dei grandi cantanti lirici – ma che alla prova dei fatti è risultato invece convincente. Bastava ascoltare i cambiamenti d’umore nel movimento d’apertura pieno di esitazioni e quindi un secondo tema lentissimo, incantato ed introverso. Ricco di ombre, ma anche di scatti repentini, è il successivo Larghetto; scatti che comunque non hanno incrinato il clima contemplativo, lasciando sempre al fraseggio la possibilità di scorrere fino ad approdare alla freschezza per così dire risolutiva dell’Allegro vivace in forma di Rondò finale.
Ể un Kun Woo Paik in pieno stato di grazia e lo ha dimostrato con un fraseggio elegante, sottile e insieme pieno di calore e dalle sonorità, ancora una volta, introverse e crepuscolari. Uno Chopin emozionante e forse del tutto inedito – ci ha ricordato la grande lezione di Claudio Arrau – a cui hanno dato un ottimo contributo I Virtuosi Italiani che sono riusciti a far cantare la melodia come in genere raramente accade. Un accompagnamento reso con delicatezza e cura in cui vengono tratteggiate le esposizioni orchestrali dei primi movimenti e la flessuosità del fraseggio, reso introverso dai continui rallentando, in piena sintonia con le intenzioni del solista al quale, per così dire, è stata spianata la strada. Lunghissimi gli applausi che Kun Woo Paik ha ricevuto al termine da un Ristori molto coinvolto e appagato.
I Virtuosi Italiani hanno poi completato la serata con due composizioni di Ciajkowskj: la breve Elegia in memoria di Ivan Samarin e la corposa Serenata in do maggiore op. 48. Di quest’ultima da rimarcare la brillante resa del Valse moderato (venato nella sua lieve eleganza da un certo patetismo), il Larghetto elegiaco e il Finale col tema russo, tutti movimenti che hanno indicato uno stato d’animo contemplativo e raffinato; movimenti volti alla malinconica vocazione della classicità settecentesca, mozartiana in particolare, per la quale il compositore nutriva una sconfinata ammirazione, di grande ricchezza armonica. Successo finale per l’orchestra veronese.