(avv. Francesco Corraro) Immaginate di ricevere, per testamento, un’eredità (magari tanto agognata), di presentare diligentemente la dichiarazione di successione, pensando di aver fatto bingo (al netto delle imposte, s’intende), quando, all’improvviso, ecco spuntare dal nulla un testamento più recente che nomina erede universale un altro fortunato al vostro posto.
Voi, che fine fate? E soprattutto, il Fisco busserà comunque alla vostra porta?
A questa domanda, degna di un legal-thriller, risponde la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 14063, del 27 maggio 2025.
Accade, infatti, che secondo l’Agenzia delle Entrate, nonostante il colpo di scena, l’erede testamentario, poi scopertosi, sfortunatamente, non essere più tale, avrebbe, comunque, dovuto versare l’imposta di successione, avendo egli presentato la relativa dichiarazione. Dopotutto, si sa, per il Fisco una dichiarazione “è per sempre”, no?
Il contribuente, sentendosi, però, come un invitato a cui viene poi detto che la festa è altrove (e, soprattutto, per qualcun altro), non ci sta ed impugna l’avviso di liquidazione sentendosi dare piena ragione dalla Corte di Giustizia Tributaria di 2° grado del Lazio, che riformando integralmente la decisione di 1° grado, ribadisce un principio tanto semplice quanto, a volte, dimenticato: un testamento “non è per sempre” perché tra più testamenti, tra loro incompatibili, vale sempre l’ultimo.
Ma l’ Agenzia delle Entrate non molla. Ritiene, infatti, che, nonostante tutto, chi presenta la dichiarazione di successione ha comunque accettato l’eredità devolutagli, seppur in un secondo momento “soffiatagli” da sotto al naso, ciò bastando a far scattare l’obbligo tributario.
La questione finisce, così, sui banchi dei Giudici di Piazza Cavour a Roma. La Suprema Corte di Cassazione, con una pronuncia precisa e ben argomentata, respinge, però, le tesi dell’Amministrazione finanziaria, mettendo – è il caso di dirlo – i puntini sulle “I” di imposte.
E lo fa con una puntualizzazione fondamentale: il presupposto dell’imposta di successione non è una semplice dichiarazione, bensì una chiamata all’eredità valida ed efficace. Tradotto: se un testamento successivo revoca quello precedente, quest’ultimo cessa di produrre effetti, come se non fosse mai esistito.
E se la chiamata viene meno, anche la dichiarazione presentata perde ogni rilievo giuridico. Dunque: nessuna eredità, nessuna imposta. Certo, la faccenda potrebbe riaprirsi laddove il testamento successivo venisse poi annullato all’esito di un giudizio di impugnazione. In tal caso, il primo testamento potrebbe “resuscitare”, e con esso la chiamata all’eredità e le relative conseguenze fiscali. Ma fino ad allora, secondo i Giudici Supremi, il contribuente “diseredato” deve considerarsi (come, di fatto, è) un non-erede ed anche il Fisco deve farsene una ragione.
In conclusione, non si paga per un’eredità che non c’è. Neppure se, per un attimo, si è pensato che fosse davvero arrivata.