Non si può più dare tutto a tutti

Il Ministro della Salute Orazio Schillaci, rispondendo a un’interrogazione sull’aumento della spesa privata, ha per la prima volta toccato il cuore del problema che affligge la sanità italiana. Lo ha fatto in un contesto più ampio e dettagliato. Ma ha detto:

«Dobbiamo essere onesti con i cittadini, ridefinire i criteri di priorità per le prestazioni, identificare i target più urgenti, non promettere sempre tutto a tutti, garantire l’essenziale a chi ne ha più bisogno».
Un affermazione che potrebbe apparire scontata in un altro contesto. Ma che, se inserita all’interno dei dati che Schillaci ha esposto, dovrebbe avere delle con sequenze logiche che, prima o poi, dovranno emergere.

Dopo aver accennato ai vincoli di un debito pubblico che genera 82,9 miliardi l’anno di interessi, il 4,3% del Pil, che limita la spesa sanitaria, il Ministro con onestà intellettuale s’è detto «consapevole delle difficoltà che vivono i cittadini. So che 4,48 milioni di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie nel 2023. So che c’è chi si indebita per curarsi. So che la mobilità sanitaria verso il Nord continua ad essere un problema per il Mezzogiorno».

SANITA

Ed ha elencato i provvedimenti tampone che il governo ha varato per far fronte alla situazione. Ha anche cercato di dare un po’ di ottimismo citando i dati  Agenas  l’Agenzia nazionale  per i servizi sanitari regionali) che dicono che ci sono «oltre 1000 ospedali che in 6 mesi, senza ulteriori esborsi economici, hanno aumentato le prestazioni di oltre il 20%» cercando di far capire che il trend si sta invertendo.

Ma l’affermazione più importante rimane quella che ammette che non si può più dare tutto a tutti e che le risorse che ci sono devono essere utilizzate per garantire l’essenziale a chi ne ha più bisogno.

Ma è evidente che ciò non può essere attuato senza riformare il sistema. Il Ministro non ne ha parlato. S’è fermato lì. E ha fatto bene perché non è il question time la sede per enunciare una riforma del Ssn. Ma non si può neanche pensare che un’affermazione del genere rimanga semplice flatus vocis e che non abbia un seguito in termini politici.