La sentenza europea sul diritto d’asilo

(Angelo Paratico) La designazione di un Paese terzo come “Paese di origine sicuro” deve poter essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo. È quanto ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione europea. Secondo la Corte, il cittadino di un paese terzo può vedere respinta la sua domanda di protezione internazionale in esito a una procedura accelerata qualora il suo paese di origine sia stato designato come “sicuro” ad opera di uno Stato membro. Ma la Corte precisa che tale designazione può essere effettuata mediante un atto legislativo, a condizione che quest’ultimo possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo vertente sul rispetto dei criteri sostanziali stabilite dalla magistratura.

Fabio Rampelli daticamera 2013
Fabio Rampelli

Il commento del on. Rampelli di FdI circa questa assurda sentenza è stato: “C’è qualcosa di eversivo in questo modo di subordinare l’autonomia politica degli Stati a sentenze frutto di interpretazioni astratte del diritto europeo”.

Il concetto di Rampelli ricorda le parole dette un paio di giorni fa dal vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance, il quale ha rivolto una critica feroce all’Europa, accusandola di “commettere un suicidio civile” e che la Germania in particolare pare voler provocare la propria rovina. Vance ha detto:

“Se avete un paese come la Germania, dove arrivano altri milioni di immigrati provenienti da paesi culturalmente incompatibili con la Germania, allora non importa cosa penso dell’Europa… La Germania si sarà autodistrutta, e spero che non lo faccia, perché amo la Germania e voglio che prosperi”.

Mentre gli Stati Uniti osservano questi sviluppi da lontano, i media mainstream tedeschi continuano a sostenere che il Paese ha bisogno di 400.000 “lavoratori qualificati” all’anno. Questo nonostante il fatto che quasi 4 milioni di persone in età lavorativa ricevano già sussidi, di cui quasi la metà non sono cittadini tedeschi. Se si includono coloro che hanno la cittadinanza tedesca ma sono nati all’estero, la percentuale sale a circa il 64%. Allora, dove ha sbagliato la Germania in materia di politica migratoria e dei rifugiati?

Le porte erano state spalancate nel 2015 dall’allora cancelliera Angela Merkel, quando ha permesso ai migranti siriani di entrare in Europa. Milioni di richiedenti asilo e migranti economici hanno attraversato l’Europa senza quasi alcun controllo. Anche se la guerra civile siriana è finita, oggi quasi nessuno vuole tornare a casa, e la combinazione di ricongiungimenti familiari e frontiere permissive fa sì che i richiedenti asilo continuino ad arrivare in gran numero.

La Germania non ha mai prodotto un’analisi costi-benefici completa dell’immigrazione. Non esistono stime ufficiali dei costi complessivi. Eppure, le conseguenze sono sempre più evidenti: aumento dei reati violenti, scuole pubbliche in cui gli studenti di origine migrante costituiscono il 42% degli alunni (con alcune scuole che raggiungono il 90%), frammentazione culturale e un sistema assistenziale e sanitario sovraccarico. Persino le entrate fiscali della Germania, un tempo abbondanti, non sono più sufficienti. Si profila un deficit di bilancio di 172 miliardi di euro, aggravato da promesse come una pensione speciale per le madri. 

Dal punto di vista economico, la situazione appare altrettanto desolante. Dopo un disastroso accordo commerciale tra l’UE e l’amministrazione Trump, l’industria automobilistica tedesca, un tempo potente, deve affrontare un altro colpo in un momento in cui i ricavi sono già in calo. Anche i sindacati sembrano più concentrati sull’attivismo climatico e sulla lotta di classe che sulla sicurezza del posto di lavoro. 

Dopo 5 anni senza una crescita economica significativa, qualsiasi politico razionale dovrebbe essere profondamente allarmato. Invece, il cancelliere Friedrich Merz promuove vaghe promesse secondo cui 61 aziende sarebbero pronte a investire 631 miliardi di euro in Germania e sembra nutrire l’errata convinzione che solo i sussidi possano salvare ciò che resta del modello economico tedesco ormai in rovina.