“La politica era una signora che viveva con noi”
(ndc) Giovedì 9 ottobre, all’Hotel Catullo Verona Est, si è tenuta la presentazione del libro “All’ombra della storia – La mia vita tra politica e affetti” (Piemme Edizioni), scritto dalla senatrice di Forza Italia e Presidente della Commissione Affari Esteri del Senato, Stefania Craxi. L’incontro, ospitato nella sala conferenze dello Shg di San Martino Buon Albergo, è stato dedicato alla figura del padre Bettino Craxi, ex presidente del Consiglio e leader socialista, definito dalla figlia “l’uomo che immaginò l’Europa moderna”. A rendere la serata particolarmente suggestiva è stata la proiezione speciale di un film biografico con interviste esclusive a persone che lo conobbero da vicino.

Quello di Stefania Craxi è un libro intimo, fatto di ricordi e sentimenti, e lo si è percepito chiaramente quando, nel raccontare episodi personali, la senatrice non ha nascosto la commozione. Lacrime, memoria e orgoglio si sono intrecciati in una serata che ha restituito al pubblico il ritratto umano di un uomo politico spesso raccontato solo attraverso la lente del potere e della cronaca giudiziaria.
Quella raccontata da Stefania Craxi non è solo la storia di una figlia di un leader politico, ma il percorso di una donna che ha imparato a misurarsi con la storia del Paese e con il peso di un nome. Nel libro e nella sua testimonianza dal vivo, si intrecciano affetti familiari, dolori privati, memoria politica e orgoglio. Un’eredità complessa, ma vissuta con la determinazione di chi non intende lasciare che la storia venga scritta da altri.

INTERVISTA A STEFANIA CRAXI
Come si fa a tenere insieme la dimensione privata del rapporto padre-figlia con quella pubblica, considerando il ruolo che Bettino Craxi ebbe nella politica?
«Io ho sempre saputo di essere una bambina il cui padre non avrebbe seguito i compiti o le prime crisi adolescenziali. L’unico modo per entrare in contatto con lui era la politica. Ho fatto la mia prima campagna elettorale a otto anni: giravo per i quartieri di Milano a distribuire santini con le tre preferenze. Non ho mai festeggiato un compleanno normale: i 15 anni li ho compiuti a un congresso a Firenze, i 18 a un congresso socialista a Milano, i 21 in un viaggio ufficiale a New York. La politica era una presenza costante nella nostra vita, quasi una signora che viveva con noi e occupava giorni e notti di Bettino Craxi. Io vengo da una famiglia politica».
Perché ha deciso di scrivere questo libro?
«In realtà non volevo scriverlo. Non sentivo un’esigenza personale e temevo di essere relegata nell’angolo degli “orfani illustri”. Ma a furia di ricevere richieste, ho pensato fosse giusto restituire la dimensione umana di questo gigante, di mio padre. Era anche un modo per raccontare ai più giovani cos’era la politica una volta, cosa rappresentavano i partiti. Così mi sono lasciata convincere».

Bettino Craxi passò da segretario di partito a uomo più potente d’Italia. Come avete vissuto in famiglia questa trasformazione?
«Craxi è sempre stato un gigante dal punto di vista umano. Io l’ho sempre riconosciuto come il capo della nostra comunità, di quella socialista a cui sentiva di appartenere. Vivemmo con orgoglio la sua sfida al governo del Paese. Ma la sensazione di essere la “famiglia dell’uomo più potente d’Italia” non l’abbiamo mai avuta. Io, in quel periodo, facevo la vita della circense: avevo iniziato una carriera televisiva e giravo l’Italia con le troupe. Mio padre era un gigante a prescindere dal ruolo istituzionale».
Lei è entrata in politica più tardi. Qual è stata la molla che l’ha spinta a impegnarsi, nonostante un cognome ingombrante?
«Io non ho scelto la politica come un campo di gioco. Volevo fare la giornalista, ma con quel cognome era complicato. Ho iniziato a lavorare in una piccola televisione milanese, imparando un mestiere che mi ha reso indipendente. Ho prodotto programmi per vent’anni, ma i fine settimana li passavo con mio padre e i suoi amici, per piacere, non per convenienza.
Poi è arrivato il momento della sua morte. Mio padre è morto davanti a me. Quaranta minuti dopo mi chiamò Minniti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, per offrire i funerali di Stato. Io rifiutai. Non potevo accettare un onore da uno Stato che non gli aveva garantito cure da cittadino libero. Ripensai a una frase di mio padre: “Finché sono vivo mi difendo da solo. Quando sarò morto, chi mi difenderà?”. Quella frase mi ha spinta a lasciare il mio lavoro per intraprendere una battaglia politica, non familiare. E per fare una battaglia politica, bisogna fare politica».
Nella politica esiste anche la parola “tradimento”. Che significato ha per lei?
«A casa mia la politica ha avuto a che fare con la vita e con la morte. Con mio padre ho imparato a leggere anche il “non detto”. Dietro la sua apparente durezza c’era tanta timidezza. Mi ha insegnato che la politica può essere dura, ma bisogna sapere sempre qual è il proprio posto e non cedere mai. Il tradimento fa parte della politica, ma certi tradimenti sono stati davvero inaccettabili. Parlo di una classe dirigente che a Craxi doveva tutto, persino le mutande che aveva addosso.
Io però non ho mai serbato rancore. Ho scelto di coltivare la memoria, che è un’altra cosa».
