(s.t.) I commercianti veronesi del settore moda all’attacco della grande distribuzione, che sfruttano le opportunità di apertura del periodo della pandemia per fare una concorrenza che definiscono “sleale”. “C’è disparità di trattamento tra i negozi e i super e ipermercati”, dice Mariano Lievore, presidente di Federmoda Confcommercio Verona. “Molti di questi esercizi, sfruttando la possibilità di tenere aperto, vendono anche i prodotti che non sono previsti dall’allegato 23 di cui al Dpcm di gennaio. Ma le regole dovrebbero essere uguali per tutti”.

La polemica si innesta su una crisi che pare senza fine: infatti, secondo un’indagine della stessa Federazione Moda Italia – Confcommercio sui saldi invernali, le vendite per la filiera abbigliamento, calzature e accessori registrate a febbraio 2021, in confronto al febbraio dell’anno scorso, sono in calo del 23,3%, dopo il crollo del 41,1% già registrato in gennaio rispetto a un anno fa. E non è finita: esattamente due terzi delle aziende intervistate (un 66,5%) hanno registrato un peggioramento delle vendite. Il 19,4% delle imprese ha visto una stabilità nelle vendite a fronte di un 14,1% che ha avuto un incremento.

Numeri che Lievore commenta con amarezza, anche perché i dati rilevati sono in linea con l’andamento della provincia di Verona: “La crisi causata dalla pandemia non si ferma, e tra l’altro i negozi di abbigliamento e calzature sono tra i pochi che entro la zona rossa devono restare chiusi. Ma le attività che, obbligatoriamente, hanno dovuto chiudere”, aggiunge, “sono sempre in attesa di conoscere se e quando otterranno quegli indennizzi che si spera possano arrivare in fretta. Perché tante aziende rischiano di abbassare definitivamente la saracinesca”.

Tornando all’indagine della Federmoda nazionale, emerge che ben un’impresa su quattro (25,2%) ha dichiarato un calo tra il 50 e il 90%. Una percentuale estremamente elevata che è dovuta al rilevante ricorso a percentuali di sconto insolitamente alte che hanno favorito le vendite ma ne hanno ridotto il ritorno in valore. Quasi otto imprese su 10 (pari al 77,5%) hanno infatti dichiarato di aver proposto sconti tra il 30 e il 50%, con oltre tre imprese su dieci (33,8%) che hanno praticato sconti medi del 50%. L’indagine evidenzia tra i prodotti più venduti la maglieria (49,0%); giubbotti, cappotti e piumini (38,8%); pantaloni (32,3%); jeans (32,3%); abiti donna (19,8%); scarpe donna (18,6); borse (16,3%); accessori (14,8%); sneackers (12,5%); tute (12,5%); intimo (12,2%). In forte sofferenza le vendite di abiti da uomo (4,2%) e valige (1,1%).

La maggior parte delle transazioni è avvenuta senza l’uso dei contanti. I pagamenti preferiti sono stati quelli con pagobancomat (82,5% delle preferenze multiple); seguono quelli con carta di credito (58,2%), mentre l’utilizzo dei contanti (7,6%) appare a questo punto una scelta residuale soprattutto per le spese di importo basso.