(di Davide Rossi) Per molto tempo, nella storiografia e nella politica, la destra è stata l’ospite sconosciuto e indesiderato della società italiana, il cui studio ha sempre rappresentato un problema che in fondo era meglio non porsi in maniera critica e obiettiva. Molto meglio ricorrere alla logica della damnatio, che, se non avrebbe risolto la comprensione del fenomeno, risultava per lo meno politicamente “corretta”. I motivi politici di un simile atteggiamento sono da individuarsi nel rapporto con il fascismo. Nella storiografia e nella politica del dopoguerra, il fenomeno fascista è stato studiato a lungo ma soltanto con gli studi di Renzo De Felice – per altro segnati da notevoli e dure polemiche – si è riuscito a costruire una vera dimensione storica del problema in grado di uscire dalle interpretazioni legate soltanto alla memorialistica antifascista.
Tutto ciò che era configurabile come destra era nient’altro che la continuità maldestra e goffa del fascismo, con l’aggravante di una riproposizione fuori dal tempo e dalla storia.

Il volume di Giuseppe Parlato e di Andrea Ungari, Storia delle destre nell’Italia del dopoguerra, edito da Rubbettino, intende proseguire invece una recente e feconda linea interpretativa, che muove da un presupposto preciso: la destra – così come il fascismo, per altro – non è un blocco unitario, teso esclusivamente a riproporre, in forme diverse, le teorie e le prassi del Ventennio. Pertanto, anche dal punto lessicale, gli autori hanno preferito parlare di “destre”, anziché di “destra”.
Perché, in effetti, le destre sono molte, e furono rappresentate da tre principali movimenti, in ordine cronologico, l’Uomo Qualunque di Giannini, il movimento monarchico e il Movimento Sociale Italiano, nonché da personaggi liberi e geniali che diedero vita a giornali che rimasero nell’immaginario collettivo come punti di riferimento di una diffusa sensibilità conservatrice e di destra: tra questi, Giovannino Guareschi con il “Candido” e Leo Longanesi con il “Borghese”.  
I filoni culturali sui quali le destre si sono mosse sono il liberalismo, il cattolicesimo, il moderatismo, la difesa dello Stato, il richiamo ai valori del Risorgimento e, certamente, anche il richiamo al passato regime fascista.  Si tratta cioè di percorsi culturali e politici non sempre omogenei, talvolta fortemente divergenti, che completano il ricco caleidoscopio della cultura politica italiana e che hanno avuto una tradizione di tutto rilievo nella mondo culturale italiano.
Se l’Uomo Qualunque si distinse per un metodo originale di polemica politica – il sarcasmo graffiante e l’invettiva anche pesante – che aveva come scopo la ricerca di un liberalismo più anglosassone che italiano, i monarchici, illusi dai dieci milioni di voti nel referendum del 1946, si trovarono a svolgere una importante azione di collegamento delle destre in vista di una “Grande destra” che non si realizzò mai, privando, come sottolinea Andrea Ungari, l’Italia del dopoguerra del necessario contrappeso a una forte sinistra comunista. Il Movimento Sociale viene in questo volume analizzato attraverso diverse fasi, da quelle più identitarie a quelle più rivolte alla necessità di inserirsi nel sistema politico per realizzare un progetto di unione fra destre diverse, fino alla stagione di Gianfranco Fini e di Alleanza nazionale, nella quale il progetto sembrava realizzarsi. 
In effetti, il ventennio berlusconiano riuscì a radunare, per la prima volta nel dopoguerra, lo sparso  “centro-destra” nel nome del moderatismo, mettendo insieme liberali, cattolici moderati socialisti moderati e quella destra nazionale che ormai aveva tralasciato i richiami identitari del ventennio.

La ricerca di Parlato e Ungari dimostra come l’Italia, come ebbe a dire un giorno D’Alema, è indubbiamente un paese moderato nel quale, tuttavia, un po’ per l’eredità fascista, un po’ per le identità ideologiche spesso insopprimibili, un po’ ancora per una scarsa attenzione al ruolo della cultura da parte di molti dei suoi protagonisti, una destra di governo ha stentato ad affermarsi. Certo, una buona dose di responsabilità è da attribuirsi alla Democrazia Cristiana che è riuscita a coprire per mezzo secolo il versante moderato della società italiana, complice anche la lunga Guerra fredda.
Non è un caso che solo dopo la caduta del muro di Berlino, la destra in Italia torni al governo: vi mancava dal 1876, da quando cioè la destra storica fu sconfitta da Depretis. 
Oggi è tutta un’altra storia. Ma lo studio delle varie occasioni mancate del passato può fare ragionare l’opinione pubblica su due temi: da un lato, la necessità di una destra in grado di assumere una dimensione di governo e non solo di opposizione e, dall’altro, l’indispensabile ed equilibratrice funzione di una destra nel panorama politico italiano, in un’ottica di democrazia e di libertà.