Carlo Calenda, Tommasi un’ottima scelta. Ma lavoriamo per Verona, non contro le destre

A Roma ha rappresentato la novità politica delle ultime amministrative, incassando il 19,8% dei suffragi, e contribuendo in maniera determinante a “far fuori” prima la sindaca uscente 5stelle e poi il candidato del centrodestra al ballottaggio. A Verona (domani, ore 19,00 Teatro alle Stimmate in Cittadella) Carlo Calenda riproporrà il suo modello di “nuova politica” che un sondaggio di SWG (qui) individua proprio oggi come quella richiesta da una larga parte dell’elettorato centrista e, soprattutto, di centrodestra.

Calenda, partiamo da Verona: il Nordest l’ha premiata alle ultime elezioni europee rendendola il candidato nelle liste PD col maggior numero di voti. Molti di essi, fra l’altro, non di area. Pensa di replicare il prossimo anno? Che obiettivo si è dato?

«Sì, allora venni votato anche da elettori che tradizionalmente non votavano a sinistra. Non ho, però , un obiettivo di percentuali da raggiungere su Verona. Non lo so e nemmeno voglio testarlo ora: i sondaggi sono cosa diversissima dal voto e capiremo il nostro peso ad urne chiuse. Sono convinto che sì, esiste un elettorato che dopo trent’anni di eccessi e di ubriacature, di ideologie contrapposte, di “mors tua, vita mea” è alla ricerca di buon senso, di pragmatismo, di programmi concreti portati avanti da persone perbene. La gente è stufa di parole d’ordine, di chiacchiere da bar alimentate  da persone che poi arrivate al governo non fanno nulla».

Oddio, l’elettore ha votato di tutto e di più in questi ultimi trent’anni, ha creduto proprio a tutto…

«Andrebbe capito perché una nazione di brave persone, che lavorano, risparmiano, rispettano le leggi – basti pensare al comportamento tenuto nella pandemia – si trovano a proprio in una sorta di “palio di Siena” dove l’importante è che gli altri non vincano quando si deve votare per il governo nazionale. Per fortuna, le elezioni amministrative sono diverse e contano di più la qualità delle persone e la validità dei programmi».

Ecco, le amministrative: Azione appoggerà Damiano Tommasi, candidato da civiche e partiti del Centrosinistra. Soddisfatto?

«Tommasi mi sembra un’ottima candidatura che nasce da un forte impegno personale e dal convergere di forze diverse, anche civiche,  sulla sua figura. Damiano è una persona competente, volenterosa, che ha costruito qualcosa nella propria vita, che ha sempre vissuto del suo. Credo sia davvero la candidatura migliore che si poteva esprimere. Attenzione, però…

A cosa?

«Damiano Tommasi sarà vincente se faremo una campagna elettorale non contro le destre scaligere, ma per Verona. Se proporremo un programma serio, di cose concrete da fare per Verona e per i veronesi; un programma fattibile, non ideologico, serio e approfondito. E poi conterà tantissimo la squadra: chi sarà al fianco di  Tommasi e se non ci si dividerà per le posizioni o altro».

Calenda, lei in passato ha fatto anche scouting di possibili candidati per altre liste elettorali. Ne cerca anche a Verona?

«Veramente, la ricerca era per un think tank e non per una lista elettorale. Ma sì, sto girando l’Italia – iniziando da Verona – per rendermi conto dei cambiamenti nelle realtà locali e per acquisire elementi per il nostro più complessivo programma di governo del Paese. Ma anche per conoscere persone, giovani soprattutto, disposti ad impegnarsi nella vita pubblica iniziando dai consigli comunali per acquisire le tecniche della politica e prepararsi a sfide più grandi. Dobbiamo costruire una nuova classe dirigente, partendo dalle competenze, ed è il momento di dare spazio ai giovani».

Di solito, un partito che nasce fa un po’ di campagna acquisti nelle aree politiche più vicine…

«Non  noi. Non abbiamo preso nessuno in Parlamento anche se, magari, poteva darci qualche titolo sui giornali in più o qualche fiches in più per la partita del Quirinale. No, abbiamo 800 amministratori locali e 23 sindaci che nascono in liste civiche e che hanno trovato in Azione il loro riferimento. Il resto è del tutto inaffidabile. Certo, è un equilibrio difficile da trovare, serve formazione, serve un impegno maggiore: ma se vogliamo la qualità della politica non possiamo che iniziare cambiandone i protagonisti. Partendo dai consigli comunali».

Civiche, moderati e centrosinistra insieme: Verona si conferma un laboratorio?

«Sì se, ripeto, usciamo da una contrapposizione ideologica che non ha più senso di esistere: in troppi vanno avanti guardando soltanto al passato».

Però i 5Stelle sono ancora al 16%. Come se lo spiega?

«Semplice, l’errore sta tutto nel sistema di calcolo dei sondaggisti. Guardi, in nessuna delle ultime elezioni, in nessuna parte d’Italia i 5Stelle hanno preso il 16% dei voti. Come possono avere quella percentuale nei sondaggi? Non è credibile ed i sondaggisti lo sanno. Nella realtà, nove interpellati su dieci non rispondono ai questionari; si esprime soltanto la fascia più militante dell’elettorato. Il voto d’opinione non si dichiara al telefono, tutto qua. Per questo, ripeto: anche a Verona i conti li faremo alla fine dello spoglio».

Un’ultima cosa: lei è l’unico politico che sta parlando oggi di giovani quando tutto il dibattito è concentrato sulla legge delle pensioni…

«Purtroppo i giovani sono una minoranza e questa politica accarezza più volentieri altri gruppi sociali. Ma bisogna fare attenzione: 131mila giovani se ne vanno dall’Italia ogni anno, è una piccola città che scompare, non possiamo reggere a lungo. Dobbiamo incentivare la loro permanenza in Italia. Pensi, un giovane entro i 25 anni guadagna in media all’anno 9.900€; fra i 25 ed i 30 anni il guadagno sale a 15mila€ l’anno. Conviene di più il reddito di cittadinanza. Come possiamo pensare che mettano su casa e famiglia? Per questo ho proposto che degli 8 miliardi di sgravi fiscali previsti dalla finanziaria, 5,5 vadano tutti ai giovani: zero tasse sino a 25 anni; tasse al 50% dai 25 ai 30.  Debbono costruirsi una vita: mettiamo più soldi nelle loro tasche – che quindi andrebbero subito a creare nuovo Pil – e alleggeriamo il peso delle famiglie che oggi sono costrette a mantenerli. Altrimenti, banalmente, chi pagherà i costi del welfare nei prossimi anni

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