Cattolica non è Agsm, servono 500 milioni: chi a Verona è disposto ad investire?

(di Bulldog) Anche oggi i piccoli azionisti sono tornati – coraggiosamente – a percorrere i palazzi della politica per presentare le loro obiezioni all’accordo Generali-Cattolica, alla trasformazione in Spa (effettiva dall’aprile 2021) e, soprattutto, all’ingresso del più grande player delle assicurazioni in Italia che, dall’alto della sua esperienza maturata nei mercati di tutto il mondo e in tutti i rami, trasformerà completamente il quieto vivere di Cattolica (e di Verona).

Nella lunga audizione dal sindaco, durata un’ora e mezza, sono stati analizzati i rischi e gli scenari negativi che si presenteranno per la città dopo il voto dell’assemblea straordinaria del prossimo 31 luglio con la trasformazione della società cooperativa in Spa. «In particolare – riporta una nota – è stato ricordato al sindaco il serio rischio di perdita di posti di lavoro (circa 1800 dipendenti) con il trasferimento nelle sedi di Milano, Mogliano Veneto e Trieste e il futuro di 1400 agenzie che perderanno la radicalità e la presenza attiva sul territorio in quanto inglobate dal colosso assicurativo come già successo con Toro Assicurazioni, Lloyd Italico e INA/Assitalia. Al sindaco Sboarina è stato spiegato come ci siano già sul tavolo delle alternative al matrimonio con Generali, come ad esempio l’interesse manifestato a mezzo stampa qualche giorno fa da Vittoria Assicurazioni che renderebbe la partnership seria, credibile e con rapporto equilibrato tra le due compagnie assicurative».

L’idea è un po’ quella già vissuta con AGSM in vista della ventilata partnership con A2A: pressing politico, mobilitazione dei media, effetto-leva sul coraggio dei politici che a tutto pensano tranne fare qualcosa che possa far perdere voti. Funzionerà anche con Cattolica?

Purtroppo, temo di no. Le ragioni sono squisitamente tecniche. Cattolica – che è una società quotata in Borsa – deve cacciare in fretta 500 milioni nel capitale sociale per rientrare dal diktat dell’autorità di vigilanza che reputa insufficiente il rapporto attuale fra il patrimonio di vigilanza e i rischi assunti. La richiesta di aumento di capitale, e in tempi certi, magari sarà stata anche un po’ pilotata, come i difensori della cooperativa sussurrano, però è un atto formale al quale non si può dir di no. Non è un’opinione, è un ordine esecutivo pena sanzioni gravi sino al commissariamento. E quindi i soldi servono.

Si dice, meglio fonderci con Vittoria Assicurazioni (si legga qui). Quindi invece di avere tre soci forti (Generali, Warren Buffet e Fondazione Cariverona: assieme farebbero il 36% circa) ci sposiamo con Carlo Acutis che appena arrivato già avrebbe il 50% della nuova compagnia che nascerebbe dalla fusione fra Cattolica e Vittoria. Poi, questa sarebbe una fusione alla pari, carta con carta, servirebbero ancora denaro fresco per essere a posto con l’Ivass dato che i problemi di solvibilità (teorica, sia detto) comunque resterebbero. Quantomeno per quota parte.

In Borsa (si veda il grafico) il titolo sta salendo vicino ai valori fissati per l’ingresso delle Generali: segno che il mercato crede nella trasformazione in Spa che è negli obiettivi dell’attuale primo azionista – Warren Buffet – che vuole rientrare dell’investimento fatto due anni fa: 116 milioni per il 9.047% di Cattolica al prezzo di 7.53€ ad azione. Oggi, quella partecipazione vale all’incirca 80 milioni e Buffet non ama perdere i suoi quattrini soprattutto se la compagnia dove ha investito caccia via da un giorno all’altro il manager che era garante della sua redditività. Buffet è contrario all’aumento di capitale e, magari, può pensare a non aderire.

Ora, se salta Buffet, se saltano Generali (peraltro l’accordo è già stato fatto e la vigilanza è d’accordo, come si torna indietro non si sa pena far precipitare il titolo in Borsa) bisogna cacciare i 500 milioni noi veronesi: con 18mila piccoli azionisti fanno poco meno di 30mila € a testa che vanno affidati allo stesso management che ha portato la compagnia a questo momento storico. Altri azionisti, di maggior peso, come la Fondazione CariVerona hanno già espresso il loro giudizio sulla compagnia scaligera scendendo nell’azionariato dal 3.4 all’1.064%. Due punti percentuali secchi in pochi giorni nello scorso aprile. E’ cambiato qualcosa nella governance Cattolica da allora?

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