Debito pubblico, cresce meno dell’economia italiana e Meloni batte Giuseppe Conte 137 a 154

(di Bulldog) Debito pubblico, buone notizie: l‘Istat certifica che l’economia italiana non sta andando male e che, soprattutto, il debito pubblico ha iniziato un certo qual rallentamento. Non siamo ancora entrati in un percorso virtuoso dato che l’eredità del governo Conte – due manovre clientelari speculari: reddito di cittadinanza, 34 miliardi per avere il voto dei descamisados, e superbonus per le ristrutturazioni immobiliari, 100 miliardi per ingraziarsi e farsi perdonare dai ceti più ricchi – è pesante e condizionerà la finanza pubblica per un periodo di tempo considerevole.

La crescita del PIL nel 2023 dello 0,9% (meglio fa soltanto la Spagna, Francia e Germania sono dietro di noi) porta la nostra ricchezza prodotta a 2.085 miliardi di con una crescita del 17% dall’ultimo bilancio dello Stato firmato da Mario Draghi, il premier che ha preceduto Giorgia Meloni. Era il 2021 e il Pil cubava 1.781 miliardi. Nello stesso periodo, il debito pubblico è cresciuto di un terzo, il 6%, passando da 2.679 a 2.862 miliardi €. Giorgia Meloni riporta la percentuale del debito sul PIL al 137% contro il 154% raggiunto da Giuseppe Conte, siamo comunque lontanissimi da numeri “accettabili” ma almeno l’emorragia sembra fermarsi…

La tabella in apertura del servizio mostra la dinamica della crescita di questi due fattori e i premier che ne sono responsabili. Ball dont lies, dicono nel basket: il pallone non mente, se non centra il canestro la ragione c’è e la vedono tutti. Si può ovviamente buttare tutto in caciara, cosa che la politica italiana sa fare molto bene, ma i numeri sono numeri e cosa c’è da pagare è chiaro. Il solo welfare – sanità più pensioni più sostegni al reddito – impegna 406 miliardi.

Coi soldi del superbonus si poteva affrontare una riforma del sistema sanitario e soprattutto di chi lo paga dato che i primi beneficiari – gli over 60 – sono quelli che lo pagano meno o non lo pagano affatto e quindi il sistema andrebbe rivisto in un’ottica di solidarietà generazionale difficile da realizzare senza un cospicuo contributo pubblico. Coi soldi per sistemare villette e castelli privati, si poteva fare qualcosa di più utile per il sistema-Paese, ma tant’è.

L’Istat certifica che il prelievo fiscale è salito a 886 miliardi€, ben 180 in più rispetto al 2020 a dimostrazione che l’economia cresce e che gli Italiani non sono tutti evasori, anzi. E’ lo Stato che dovrebbe mettere mano alle sue spese e tagliare la giungla dei benefit fiscali che sottraggono altri 100 miliardi che potrebbero essere reimmessi nell’economia in maniera più produttiva: nella difesa del sistema produttivo, nell’incentivare imprese internazionali ad insediarsi da noi, nel completare la dotazione infrastrutturale del Paese e sostenendo la conversione energetica. 100 miliardi spesi così potrebbero creare un volano di lavoro ben più duraturo di quello generato dal superbonus.

Le esportazioni ammontano a 731 miliardi mentre le importazioni si fermano a 702: restiamo un Paese manifatturiero con una grande capacità di penetrazione nei mercati globali e questo fa capire ancora meglio perchè stiamo nel Mar Rosso con le navi da guerra a difendere la capacità di tenuta dell’intero sistema nazionale. Se perdiamo import/export semplicemente non stiamo più in piedi.

Fra i tanti dati quello sul valore aggiunto spiega diversi fatti della cronaca recente: ad esempio, il settore agricolo è tornato in negativo del 2,5% dopo il dato positivo (più 2,4) dell’esercizio precedente; è il quarto segno meno negli ultimi cinque anni. Ecco da dove nasce la protesta degli agricoltori.

Il settore delle costruzioni, invece, registra il terzo segno più consecutivo: più 3,9% dopo il 10,7 e il 20,6 del biennio precedente che aveva chiuso il dato negativo della stagione Covid (meno 5,9 nel 2020). Difesa, istruzione, sanità, servizi sociali e amministrazioni pubbliche realizzano un valore aggiunto negativo dello 0,4% contro il più 0.5 e il più 3.2 del biennio 2021 e 2022

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