Fatta la finanziaria. Briciole alla sanità. Se non ci sono soldi, l’unico modo per salvare il SSN è riformarlo aggiornandolo alle esigenze di oggi

(di Paolo Danieli) Fatta la manovra di bilancio, a ‘babbo morto’, una riflessione bisogna farla. Senza alcuna nota polemica. Non solo perché la maggioranza dei destra-centro ha tutta la nostra simpatia, ma quand’anche così non fosse, chiunque sia dotato di un minimo di raziocinio deve convenire che con tutto quello che è successo, più di così non si poteva fare. Anzi, considerata la ristrettezza dei tempi, è già tanto che non si sia andati all’esercizio provvisorio. E invece la Meloni ha dato una grande dimostrazione di serietà e di capacità. Ciò non significa che nella finanziaria non ci siano delle pecche. La perfezione non è di questo mondo. 

Ma, partendo proprio da questa constatazione, una riflessione la dobbiamo fare. E, tanto per capirci meglio, la facciamo proprio su quello che ci riguarda più da vicino: la pelle.

Già, la pelle. Che in senso figurato significa la vita, la salute. Quando c’è la salute c’è tutto, dice il proverbio. Dovrebbe essere una delle prime cose da tutelare. Anche con la finanziaria. E invece no. Solo 2 miliardi in più. Per pagare le bollette. Non per colmare il divario sempre più grande fra offerta e domanda di salute che proviene dalla società.

Una società che non è più quella del 1978, quando venne istituito il Servizio Sanitario Nazionale su base universalistica. E’ una società più vecchia. Che s’ammala di più e ha bisogno di più cure. E quindi di più soldi per la salute. Ma non è cambiata solo la società. E’ cambiata anche la sanità: più tecnologica, precisa, avanzata e costosa.  Tanto che secondo il Rapporto del Ministero della Salute la spesa sanitaria è passata dai 113.590 milioni del 2017 ai 124.176 milioni del 2021 (+9,3%). 

Una spesa fuori controllo per i sistemi che garantiscono cure gratis a tutti.  Che è un principio sacrosanto. Ma che necessita di risorse che, come dimostrato anche dall’ultima finanziaria, lo stato non è in grado di dare. 

Quello che si spende per la salute è indicato dal rapporto spesa sanitaria/Pil, che secondo il Dpef del governo Meloni passerà entro 3 anni al 6%: sempre meno. Troppo poco.

Oggi l’Italia si pone appena sopra la media Ocse (8,3%) con l’8,7%, che è però la risultante della spesa pubblica e privata. Se si sottrae il 2,2% di quella privata, è il 6,4% che va considerato. E se non basta oggi, figuriamoci diminuendolo ancora!

E’ da qui che bisogna partire se vogliamo trovare il bandolo della matassa. Se il convento passa cibo per 6, non si può pensare di dar da mangiare a10!

Qualunque azione venga fatta all’interno di questa cornice è destinata a fallire. E’ la coperta corta. Se ti copri le spalle, si scoprono i piedi. E viceversa. Se paghi di più i medici e gli infermieri, non ci sono abbastanza soldi per aggiornare le strumentazioni o per i farmaci. Non se ne va fuori. 

La prima e più eclatante conseguenza sono le liste d’attesa che costringono gli utenti del SSN a rivolgersi al privato pagando le prestazioni. Se hai il dubbio di avere un tumore, non aspetti mesi per essere visitato o fare un esame. Vai in una struttura privata che ti dà la risposta subito. E’ logico. Ma così il sistema non è più universalista. E’ questa la prima conseguenza. 

La seconda è che rivolgendoti al privato paghi due volte: la prestazione privata, ovviamente, ma anche la tua quota parte di tasse per finanziare il SSN.


A questo punto bisogna prendere atto che il sistema universalistico, così come concepito finora, non è più sostenibile. E che, fatto salvo il principio del diritto universale alla cura, è necessario adattare il sistema alla realtà.

Anche perché, continuando così, si scivola in un sistema ingovernabile, dove il diritto alla cura diventa solo formale. Tutta la medicina moderna è basata sulla prevenzione e sulla tempestività. Una diagnosi o una cura tardiva equivale ad una non-diagnosi o ad una non-cura.

Il sistema va modificato e aggiornato. Non è semplice, ma neanche troppo difficile.

Il SSN rimane in piedi. Le cure vengono garantite a tutti. Solo che per rendere il sistema finanziariamente sostenibile viene stabilita una franchigia per una certa fascia di reddito. Franchigia che lascia scoperta l’assistenza per quelle prestazioni/farmaci meno costosi, affrontabili senza problemi. Le fasce più debili rimangono protette anche per le spese più basse e vengono garantiti a tutti quei farmaci, cure, operazioni sopra la franchigia.
Quantificare la franchigia? Si può fare in vari modi. Legarla proporzionalmente al reddito oppure stabilire un reddito oltre il quale i farmaci che costano meno di 20 euro o le prestazioni che costano meno di 100 euro sono a carico dell’utente. Il risultato sarebbe che alcuni miliardi di prestazioni e di farmaci non più a carico del SSN sarebbero usati per far funzionare meglio il sistema. 

Parliamoci chiaro. Quanti sono quelli che non possono permettersi di spendere 10 o 20 euro per una medicina? E quelli che non hanno 100 euro per una visita o una radiografia? Per chi invece non se lo può permettere, tutto continuerebbe come prima, con la differenza che i tempi delle liste d’attesa diventerebbero accettabili.

I governi che si sono succeduti finora sono rimasti inerti di fronte ad un problema che sta diventando pesantissimo, soprattutto per la carenza di risorse, di medici e di infermieri. La pandemia ha evidenziato al di là di ogni ragionevole dubbio quanto la sanità sia importante, ma pare che la lezione non sia servita. Allora, se non ci sono le risorse per mantenere il sistema, bisogna adeguare il sistema alle risorse. Tertium non datur.

Il governo ha dovuto scrivere la legge di bilancio con quel che s’è trovato. Un po’ come un treno che deve procedere sulle rotaie. Se la Meloni vuole lasciare il segno in un settore della società di grande impatto, specie dopo la pandemia, ha un’occasione irripetibile: riformare il sistema sanitario italiano.
La prima riforma la fece il governo Mussolini istituendo il sistema delle mutue che durò fino al 1978 quando venne creato il Servizio Sanitario Nazionale dal governo Andreotti. Il governo Meloni potrebbe passare alla storia per aver fatto la terza riforma del sistema sanitario italiano.

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