(di Gianni Schicchi) Federico Guglielmo ha portato al Baroque Festival del Ristori la sua famosa L’Arte dell’Arco, complesso fondato trent’anni dal padre Giovanni ed oggi fra le maggiori espressioni internazionali della musica barocca.

Per la conclusione della manifestazione veronese ha voluto proporre un programma solleticante e non frequente: i Concerti per l’Imperatore, la Cetra d’Asburgo di Vivaldi, raggruppati col numero IX nel catalogo del compositore veneziano e concepiti in occasione dell’incontro avuto a Trieste (1728) con l’imperatore Carlo VI, “terzo re della Spagna, Boemia, Ungheria, ecc.” a cui decise di dedicarli. Un ritardo nella stampa costrinse però il musicista ad organizzarne velocemente una nuova versione dei dodici concerti, lasciata poi in semplice manoscritto ed ora giacente a Vienna. 

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La versione di Federico Guglielmo

Ể da questa versione che Guglielmo ha trascritto le parti orchestrali presentati nel concerto, che sostanzialmente concludono il ciclo evolutivo del compositore veneziano nella musica strumentale, dal momento che le opere seguenti non portano novità nello stile dell’invenzione, ne contributi ulteriori alla tecnica dello strumento. Guglielmo e i suoi hanno suonato anche il dodicesimo RV 391 con “violino discordato”, che usa la tecnica della scordatura, consistente in una accordatura speciale, non abituale, per ottenere effetti inusuali o rendere l’esecuzione di accordi particolari.

Un grande pezzo, l’unico a trovarsi anche in edizione stampata, non privo di una certa difficoltà nei suoi tempi: Allegro non molto, Largo, Allegro, che la tonalità in si minore rende agevole in alcuni passaggi davvero virtuosistici. 

Guglielmo ha fatto bene a proporre il RV 391 – eccellente il supporto datogli dal secondo violino Elisa Citterio – che mostra una maggiore maturità degli altri, sia sotto l’aspetto formale sia quello della scrittura violinistica, sebbene nell’intero gruppo dei Cetra non appaia un’idea ordinatrice e fra un concerto e l’altro vi siano disparità stilistiche, probabilmente dovute alle diverse epoche di composizione. 

La dote precipua delle letture di Guglielmo sono parse, la brillantezza, la vivezza, la pienezza del suono che hanno esaltato la linea melodica del violinista patavino. Guglielmo si intenerisce liricamente nei Largo/Andante, si sbizzarrisce poi in ritmi da capogiro negli Allegro, facendo sfoggio di una superba abilità virtuosistica però sempre a disposizione dell’espressività.

E’ lui a dettare i tempi dell’esecuzione e a trascinarsi dietro l’ensemble, conferendo la necessaria varietà a strutture formali spesso ripetitive. Così si lancia con naturalezza nei passaggi più arditi senza perdere la cantabilità necessaria, guida le progressioni armoniche, suonando alla moderna, ma tenendo d’occhio la potenzialità della musica.   

L’esecuzione de L’Arte dell’Arco si è distinta per un’adeguata pertinenza stilistica ed una perfetta coesione offrendo inoltre una resa globale estroversa, esuberante e ritmicamente incisiva, facendo così emergere appieno, l’impostazione dialogica e virtuosistica dei brani, a volte la loro freschezza inventiva e la loro vivacità. In evidenza i tre concerti, noti ai più, L’Amoroso RV 271, quello per la Solennità di San Lorenzo in fa maggiore RV 286 e il delizioso Il Favorito RV 277 che ha concluso il concerto. Come bis l’ensemble ha proposto il raffinato tempo Largo da un concerto di Tartini, molto gradito ed accolto da un consistente applauso del pubblico.