Lavoratore e povero, per un veronese su sei è la realtà attuale

Un lavoratore su sei, una lavoratrice su cinque sono, a Verona, a rischio povertà per l’inadeguatezza degli stipendi attuali: per una fetta sempre più grande di popolazione il lavoro non è più una condizione sufficiente a tenere la testa fuori dallo stato di indigenza. Una elaborazione del Caaf Cgil di Verona sulle dichiarazioni dei redditi modello 730 da esso compilate dimostra infatti che un lavoratore dipendente veronese su sei (1 su 5 se donna o giovane under 35) vive con un reddito annuo inferiore al 60% della mediana nazionale, fissata in 11.500 euro, e pertanto è tecnicamente in condizioni di povertà lavorativa. Il reddito medio annuo di questi lavoratori più poveri è di appena 7.146 euro.

Il dato veronese si presenta in linea con quello Veneto risultante dalla analoga elaborazione dei Caaf Cgil regionali (1 lavoratore povero su 6 con punte di quasi 1 su 4 tra le donne e i  giovani under 35), ma anche con il dato nazionale risultante dallo studio svolto dal Gruppo di lavoro “sugli interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa” istituito presso il Ministero del Lavoro, che parla di un lavoratore povero ogni 4 lavoratori (il 25%).

Che a questa condizione di basso reddito corrisponda poi una condizione di effettiva indigenza dipende anche da altri fattori, in primis la condizione familiare. Non hanno probabilmente il problema di come sbarcare il lunario gli studenti-lavoratori che vivono con la famiglia di origine o il coniuge che sceglie liberamente il part time per seguire meglio i figli. Tuttavia la povertà lavorativa è certamente una precondizione della povertà sociale, e la grande diffusione dei contratti a termine (accentuata dalla ripresa post Covid in cui sono a termine l’83% delle nuove assunzioni) e la grande consistenza del part-time, pari a quasi un terzo delle nuove assunzioni, più spesso subito piuttosto che scelto, fanno ritenere che questi dati siano indicativi di una condizione di effettiva tensione e sofferenza sociale.

A riprova, l’indagine Cgil mostra come il lavoro povero non si distribuisca equamente tra i diversi settori dell’economia veronese: dilaga nel terziario, dove sono “poveri” il 43% dei lavoratori, ed è fortemente presente nel settore agricolo (19%) e in quello delle telecomunicazioni (16%). Anche il 37% dei lavoratori somministrati sono “poveri”. Molto meno coinvolti dal fenomeno (sotto al 10%) il settore bancario e assicurativo, la metalmeccanica, la scuola e (anche grazie al grande lavoro fatto dal Sindacato negli ultimi anni) l’edilizia e il settore dei trasporti e della logistica.

Il fenomeno dei working poor, cioè dei lavoratori che pur lavorando non riescono ad uscire dallo stato povertà, non è affatto nuovo, era esploso negli Stati Uniti già con la deregulation dei “ruggenti anni Novanta”. La novità sta invece nelle misure allo studio dal governo che spaziano da diverse ipotesi di salario minimo a trasferimenti monetari ai lavoratori in difficoltà.

“Come Sindacato diciamo che è un bene che si stia accendendo un riflettore su questa tematica che non è altro che l’altra faccia della precarietà che andiamo denunciamo da anni” commenta Stefano Facci, Segretario generale Cgil Verona. “I lavoratori poveri sono spesso  lavoratori discontinui impiegati in settori a basso tasso di innovazione che fanno del costo del lavoro il principale elemento di competitività” continua. “La povertà lavorativa va contrastata con politiche che sappiano contemperare le esigenze di flessibilità della imprese  con i bisogni di sicurezza sociale dei lavoratori e delle lavoratrici, ma anche imprimendo una svolta alle dinamiche ai salari che in Italia, a differenza del resto d’Europa, sono stagnanti da decenni. Le retribuzioni vengono oggi ulteriormente falcidiate dall’aumento delle bollette sulle quali non è ancora chiaro l’effetto promesso dai provvedimenti del Governo, e ancora di più dall’aumento dell’inflazione che riduce inesorabilmente il potere d’acquisto di tutte le retribuzioni. La tendenza all’impoverimento si può invertire se c’è la volontà di orientare alla qualità le produzioni e il lavoro, come dimostra l’esperienza di molte aziende veronesi e come richiesto dallo stesso Pnrr con i suoi accenti su digitalizzazione, riconversione ecologica, riduzione del divario di genere, sicurezza sul lavoro”.

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