OVS, il colosso italiano della moda sorto dal gruppo veneziano Coin e titolare del marchio veronese Upim (fondato nella nostra città nel 1928), Croff e della trevigiana Stefanel – una delle realtà nazionali più significative nel settore dell’abbigliamento a livello internazionale guidata da Stefano Beraldo (nella foto) – dismetterà gli approvvigionamenti di cotone dallo Xinjang e uscirà dalla regione cinese uigura. Questo in adesione alla campagna di pressione End Uyghur Forced Labour, lanciata nel luglio del 2020 e condotta da oltre 300 organizzazioni nel mondo tra cui la Campagna Abiti Puliti.
 
È un passo significativo  per i diritti del popolo uiguro: da 1 a 3 milioni di persone internate dal governo cinese in campi di lavoro forzato in cui si stima venga prodotto circa un quinto del cotone utilizzato dai marchi della moda su scala mondiale. Indottrinamento, rieducazione, torture, violenze, sterilizzazione forzata e vera e propria schiavitù sono alcune delle pratiche utilizzate per opprimere la popolazione uigura e sfruttarla illecitamente come forza lavoro gratuita alla raccolta del cotone e alla produzione di abbigliamento di cui si avvalgono i marchi internazionali.  
 
L’84% del cotone prodotto in Cina viene dalla regione uigura, il 20% della produzione mondiale: un abito in cotone su 5 è prodotto con l’uso di lavoro forzato. «Ci auguriamo che l’adesione di OVS all’impegno per lasciare la regione uigura convinca gli altri marchi che ancora non hanno fatto passi pubblici concreti a fare altrettanto. Questo primo importante risultato rinvigorisce lo sforzo della coalizione internazionale e ci motiva a continuare la pressione: il lavoro forzato è una condizione che fa orrore e che nessuno (consumatori, produttori, politici) può accettare né fingere di non vedere” ha dichiarato Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti – Chiediamo a marchi e distributori tessili di abbandonare definitivamente la regione uigura ad ogni livello della loro catena di fornitura, dall’approvvigionamento del cotone all’importazione di prodotti finiti, ponendo fine ai rapporti con i fornitori che supportano il sistema del lavoro forzato. E’ innegabile che le imprese multinazionali abbiano un potere enorme. Ebbene, esse hanno anche la responsabilità di adottare qualsiasi misura possibile per adempiere agli obblighi di responsabilità aziendale e di rispetto dei diritti umani così come stabilito dai Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani».

Non è la prima volta che OVS si impegna su queste tematiche etiche. Nei giorni scorsi, l’azienda veneziana aveva annunciato di voler monitorare la situazione in Myanmar – dove è presente con alcune produzioni – e, al fine di prendere una posizione a supporto delle condizioni di lavoro nell’ex Birmania, ha deciso di sottoscrivere l’appello lanciato da Clean Clothes (https://cleanclothes.org/news/2021/garment-brands-and-manufacturers-must-condemn-the-military-coup-and-support-workers-in-myanmar) e da molte altre ONG e Trade Unions internazionali. «Data la modesta entità delle produzioni attualmente realizzate – sottolinea una nota – OVS potrebbe facilmente abbandonare il paese, tuttavia fino a che sarà possibile continuerà a mantenere una ancorché limitata presenza in Myanmar, sospendendo qualsiasi attività con quei fornitori che effettuassero atti discriminatori contro i lavoratori impegnati nelle azioni di protesta».