Per salvare dal collasso il sistema sanitario ci vuole un atto di coraggio

(di Paolo Danieli) La sanità sta andando al collasso nel silenzio generale. Quel che più preoccupa è che hanno cominciato ad andare in difficoltà anche quelle regioni dove funziona meglio. Causa prima la ristrettezza delle risorse. Per il 2023, 136 miliardi, il 6,7% del Pil. La media europea è il doppio. 

Risultato delle politiche dei governi che si sono succeduti negli ultimi quindic’anni. Alla salute, che sarebbe il primo investimento da fare, non è mai stata prestata l’attenzione dovuta. Al punto che quando è scoppiata la pandemia ci siamo perfino accorti che erano anni che non veniva aggiornato il piano d’emergenza. E proprio il Covid ha dimostrato quanto sia importante avere un sistema sanitario efficiente. Grandi apprezzamenti per i medici e infermieri e buoni propositi. Ma poi tutto è continuato come prima. Anzi, peggio. Perché nel frattempo si sono aggiunti altri problemi. Primo fra tutti la mancanza dei medici, che sta allungando oltremodo le liste d’attesa, e lasciando centinaia di migliaia di cittadini senza il medico. Tanto che molti per curarsi sono costretti a rivolgersi al privato, pagando di tasca propria 36 miliardi solo nel 2022. Praticamente una finanziaria. Quelli che se lo possono permettere. Gli altri invece aspettano. Con tutti i danni che ciò comporta per la salute. Oppure rinunciano a curarsi. Che è ancora peggio.

Il governo Meloni ha avuto questa pesante eredità. I soldi che si è trovato in cassa sono quelli che sono e nel Def, il documento di programmazione economico finanziaria per i prossimi tre anni, alla sanità ha destinato quanto non basta. Il Ssn è destinato a collassare.
E’ invece necessario un deciso cambio di rotta. Giorgia Meloni, che oltre a essersi guadagnata l’autorevolezza che tutti le riconoscono, ha anche le palle, non può comportarsi come i governi precedenti e far finta di niente. Deve fare una scelta. 

O dirotta sulla sanità almeno 120/130 miliardi destinati ad altri capitoli di spesa, oppure deve mettere mano al sistema. 

La prima opzione è molto difficile. Andrebbe a sconquassare l’equilibrio finanziario dello Stato. E’ altamente improbabile che il governo possa prendere questa strada. Non resta allora che l’altra. 

Preso atto che il Ssn non garantisce più cure gratis a tutti, va preservato il principio fondante, l’universalismo, oggi ridotto a flatus vocis, visto che una parte consistente dell’utenza è costretta a ricorrere al privato. La strada allora  è quella di apportare al sistema delle modifiche per renderlo sostenibile finanziariamente, garantendo che nessuno deva rinunciare a curarsi e che a tutti siano garantite le cure salvavita o comunque quelle che implicherebbero un impegno economico difficilmente sostenibile.
Per farlo dovrà essere fissata una franchigia al di sotto della quale quei cittadini con una certa fascia di reddito si pagheranno medicine e cure, dando loro la possibilità di accedere ad un sistema di assicurazioni integrative a costi concordati fra lo Stato e le compagnie d’assicurazione.

Così si scaricherebbe lo Stato di un grande peso finanziario, si alleggerirebbe il Ssn e si porterebbero a tempi accettabili le liste d’attesa. Ma l’effetto più importante sarebbe quello di salvare quello che fino a qualche anno fa era uno dei sistemi sanitari migliori del mondo.

Per fare un’operazione del genere però ci vuole il coraggio di parlar chiaro agli italiani senza la paura di perdere consensi. Che a Giorgia Meloni non manca.



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