Scuola veneta: diseguaglianze digitali e strutture obsolete nel report OpenPolis

La scuola rischia di pagare uno dei prezzi più alti della pandemia: dibattiti ai limiti del surreale fra aperture e chiusure; investimenti al limite del ridicolo e della malversazione come 100 milioni gettati al vento per banchi a rotelle inutilizzabili dagli alunni mancini o d’altezza superiore al metro e settanta; un’opportunità come la Didattica a distanza sprecata da una classe di insegnanti impreparata e poco disponibile alla novità hanno portato i nostri ragazzi a raggiungere un gap di formazione che peserà nel prosieguo delle loro vita scolastica e professionale. Diventa così di stringente attualità e di altissimo interesse la ricerca che le Fondazioni bancarie hanno realizzato sulla povertà educativa in Veneto, una inchiesta realizzata insieme ad OpenPolis in collaborazione con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo nazionale per il contrasto della povertà educativa minorile, a cui aderiscono Acri e Fondazioni di origine bancaria, tra cui Cariparo, Cariverona e Fondazione di Venezia

Per quanto riguarda i servizi dedicati alla prima infanzia, il Veneto si colloca all’11esimo posto tra le regioni italiane: offre complessivamente 32.658 posti in 1.299 strutture autorizzate tra asili nido e servizi integrativi, garantendo circa 29,1 posti ogni 100 residenti tra 0 e 2 anni di età. Un dato superiore alla media nazionale (25,5%) ma inferiore all’obiettivo europeo fissato in 33 posti in asilo nido ogni 100 bambini. Inoltre, ci sono significative differenze da una provincia all’altra e da comune a comune. Con il 35,4% di minori potenzialmente coperti, Rovigo è la provincia più “virtuosa”, l’unica ad aver raggiunto l’obiettivo europeo, seguita nell’ordine da Padova, Verona, Treviso, Venezia, Vicenza e Belluno, dove il 65% dei comuni non dispone di servizi per l’infanzia.

L’emergenza sanitaria ha costretto bambini e ragazzi a seguire le lezioni da casa, e non sempre l’hanno potuto fare agevolmente a causa delle carenze digitali. Le disuguaglianze digitali rischiano così di fondersi con quelle sociali ed economiche, ampliando i divari preesistenti alla crisi e compromettendo un’intera generazione. Sul fronte della digitalizzazione, il Veneto presentava già prima dell’emergenza dati in linea o superiori a quelli nazionali. Ai primi posti in classifica per numero di famiglie raggiunte da un qualsiasi tipo di connessione (97% raggiunte da banda larga), scende al 14simo posto per quanto riguarda le connessioni veloci (59% vs media italiana del 68,5%) e ultraveloci (26% vs media italiana del 68,5%). Al primo posto si colloca la città metropolitana di Venezia (40% delle famiglie ha una connessione ultraveloce), seguita da Verona, Padova, Vicenza, Treviso e dai fanalini di coda Belluno e Rovigo, dove il dato si ferma al 13%.

Un elemento che ha assunto una rilevanza ancora maggiore durante la pandemia è la vetustà degli edifici scolastici. Come sottolineato dalle linee guida del Miur, servono strutture più moderne, con spazi più ampi e una rimodulazione di banchi e arredi scolastici che tutelino insegnanti e alunni dal rischio contagio. In Veneto il 18,5% degli edifici ha più di 50 anni (17,8% media nazionale), di cui il 30% concentrati nella provincia di Belluno (36,3%), seguita da Rovigo (29,4%) e Vicenza (22,1%), mentre la provincia di Treviso registra solo l’11,92% di edifici vetusti.

Un ultimo punto analizzato dal rapporto è la raggiungibilità delle scuole. Infatti, se in un territorio il servizio di trasporto pubblico è assente o copre le esigenze solo di una parte degli studenti, si crea un divario che rischia di incentivare la dispersione scolastica, provocando nei casi peggiori l’abbandono del percorso di studio. In Veneto la percentuale di scuole raggiungibili con i mezzi pubblici arriva al 94,5% (86% media nazionale), dove ad occupare i primi posti in classifica sono le province di Rovigo e Verona (dati vicini al 97%), seguite da Padova che, con il maggior numero di scuole nella regione supera il 90% di edifici scolastici raggiungibili.

Giorgio Righetti, direttore generale Acri, dichiara: “Il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile è nato nel 2016 su iniziativa delle Fondazioni di origine bancaria, che hanno attivato un inedito partenariato pubblico-privato con il Governo e il Terzo settore, per farsi carico di una grande emergenza del nostro Paese. Per questo hanno scelto di intervenire coinvolgendo l’intera “comunità educante”: non solo le scuole, ma anche gli Enti locali, le organizzazioni del Terzo settore, le famiglie e gli stessi studenti. In 6 anni, le Fondazioni hanno messo a disposizione complessivamente oltre 600 milioni di euro, che hanno finora permesso di attivare 384 progetti in tutta Italia, raggiungendo quasi 500mila ragazzi. Si tratta di un vasto programma sperimentale, che sta iniziando a dare i primi incoraggianti risultati, per individuare policy nazionali per intervenire sul tema del contrasto della povertà educativa.”

“Gli italiani più giovani sono destinatari privilegiati dell’attenzione istituzionale delle Fondazioni di origine bancaria, che hanno nell’arricchimento del capitale umano e nello sviluppo dell’inclusione sociale due peculiari direttrici strategiche.”, aggiunge Alessandro Mazzucco, Presidente di Fondazione Cariverona. “Il contrasto alla povertà educativa – in particolare quella minorile – si inserisce poi perfettamente nell’orizzonte disegnato dal NextGenerationUe, ora rimodellato nel Recovery Plan, spinta alla ripresa dopo l’emergenza pandemica. Va quindi riconosciuta ad Acri una efficace visione per i bisogni della società, che vanno proiettati nel futuro, nelle realtà che si andranno a produrre. Questo è il primo meritevole passo. Il secondo, obbligato, è quanto la nostra Fondazione ha inserito nel proprio piano triennale: l’investimento per la formazione superiore e la integrazione con il mondo delle professioni.”

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