Sorpresa evasione fiscale, i veneti tra i meno “infedeli”, il picco nel Mezzogiorno. Imprese sempre più tassate

Il Veneto è ai primi posti nella classifica delle regioni italiane che evadono meno le tasse: è al quinto posto, preceduta da Friuli Venezia Giulia, Trento, Lombardia e Bolzano ( e quindi al quarto se contiamo come una regione sola i nostri vicini verso il Brennero). Siamo a pari merito con l’Emilia Romagna con un’incidenza del 10,1%, al di sotto della media nazionale ma anche lontana dal picco delle regioni del Sud. Dati che quindi fanno giustizia di una narrazione fin troppo diffusa che fa del Nordest l’area in cui i doveri fiscali vengono meno sentiti e rispettati.

Lo sottolinea un’analisi dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre che ironicamente si domanda anche se abbiamo finalmente cancellato l’evasione fiscale. Una provocazione nata sulla base dei dati presentati dal ministero dell’Economia e delle finanze e dall’Agenzia delle Entrate, che hanno ricordato come l’anno scorso l’erario abbia incassato, rispetto al 2021, 68,9 miliardi in più di entrate tributarie e contributive, recuperandone 20,2 di evasione e bloccandone 9,5 di frodi. Il maggior gettito pertanto ammonta complessivamente a 98,6 miliardi, un importo di dimensione leggermente inferiore alla stima dell’evasione fiscale e contributiva in Italia, stimata intorno ai 100 miliardi.

Una provocazione con un fondo di verità, cui la CGIA stessa risponde che no, non abbiamo azzerato l’evasione, ma che forse abbiamo imboccato la strada giusta per una progressiva riduzione. Infatti una quota preponderante dei 68,9 miliardi incassati in più derivano dal buon andamento dell’economia che include un importo – sicuramente contenuto ma ogni anno in costante aumento – riferibile agli effetti della compliance fiscale. Dunque c’è un fondo di verità e se teniamo conto degli effetti della fatturazione elettronica, dello split payment e dell’attività di controllo praticata l’incrociando le banche dati, rispetto a qualche anno fa gli evasori hanno la vita più dura.

Ma non tutti. Chi è completamente sconosciuto al fisco continua imperterrito a farla franca, così come le organizzazioni criminali di stampo mafioso che sempre con maggior dedizione seguitano a coltivare i propri traffici illegali. Poco “sensibili” alla fedeltà fiscale sono anche le multinazionali e i giganti del web che fanno profitti miliardari in Italia ma versano la stragrande maggioranza delle tasse in Paesi con un fisco più mite.

Intanto le imprese italiane sono tra le più tartassate d’Europa. Nel confronto con i principali Paesi UE la percentuale di gettito fiscale riconducibile alle aziende italiane sul totale nazionale è nettamente superiore a quella tedesca, francese e spagnola. Se nel 2020 da noi ha raggiunto il 13,5%, garantendo un gettito di 94,3 miliardi, in Germania era al 10,7% (144,8 miliardi versati), in Francia al 10,3% (108,4 miliardi) e in Spagna al 10,1% (41,7 miliardi). Rispetto alla media europea siamo tassato scontiamo oltre il 2% in più. Per non parlare delle aliquote che gravano sul reddito imponibile delle imprese. Se in Italia si attesta al 27,9%, tra i nostri principali competitor in Francia è al 25,8% e in Spagna al 25%. Solo la Germania con il 29,8% sconta un carico superiore, ma la media europea è più bassa della nostra di ben 6,7 punti.

E torniamo nel dettaglio sull’infedeltà fiscale delle regioni. Sebbene gli ultimi dati dell’Istat siano del 2020, anno fortemente condizionato dalla pandemia, l‘economia non osservata sul valore aggiunto regionale registrava le soglie più elevate nel Mezzogiorno. Il 16,8% in Sicilia, il 17% in Puglia, il 17,7% in Campania e il 18,8% in Calabria, la regione più a rischio evasione d’Italia. Le realtà più fedeli al fisco, invece, erano il Friuli Venezia Giulia con il 9,4%, la Provincia Autonoma di Trento con il 9%, la Lombardia con l’8,4% e la migliore, la Provincia Autonoma di Bolzano con l’8,2%. La media nazionale fa segnare l’11,6%.

Detto questo, uno dei principali obiettivi di una seria rivisitazione del nostro sistema di tassazione saerebbe alleggerirne il peso sui contribuenti. Nel 2022 la pressione fiscale in Italia, data dal rapporto tra entrate fiscali e Pil, ha raggiunto un mostruoso 43,5%, livello mai toccato in precedenza. Il record storico raggiunto l’anno scorso, comunque, non dipende da un aumento della tassazione su famiglie e imprese, ma dalla tempesta perfetta di tre aspetti congiunturali distinti. Il primo è il forte aumento dell’inflazione che ha fatto salire le imposte indirette; il secondo è il miglioramento economico e occupazionale avvenuto soprattutto nella prima parte dell’anno, che ha favorito la crescita delle imposte dirette; il terzo è l’introduzione nel 2020-2021 di molte proroghe e sospensioni dei versamenti, agevolazioni poi cancellate per il 2022.

Oltre a questi aspetti va considerato che a partire da marzo 2022 le famiglie italiane percepiscono l’assegno unico, misura che ha sostituito le precedenti detrazioni per i figli a carico. Questa novità (a parità di condizioni) ha delle evidenti implicazioni sul calcolo della pressione fiscale: se le detrazioni riducevano l’Irpef da versare al fisco, la loro abolizione ha incrementato il gettito fiscale complessivo annuo di circa 6 miliardi. Infatti ora le risorse per erogare l’assegno unico vengono contabilizzate nel bilancio statale come uscite. In termini assoluti, infine, segnaliamo che secondo i dati resi noti nei giorni scorsi dal MEF (gennaio-dicembre 2022), le entrate tributarie e contributive sono complessivamente aumentate, rispetto all’anno precedente, di 68,9 miliardi (+9,2%). Di queste le entrate tributarie sono salite di 53,7 miliardi (+10,5%) e le contributive di 15,7 miliardi (+6,4%).

Per concludere, la CGIA propone una riflessione sulla riforma fiscale il cui testo base è stato approvato giovedì dal governo. L’Ufficio studi degli artigiani sottolinea che una riforma fiscale deve innanzitutto indicare preventivamente quanto costa e dove recuperare le coperture, e poi ha il compito di conseguire, in tempi ragionevolmente brevi, almeno altri tre obbiettivi: la riduzione del carico fiscale a famiglie e imprese, la semplificazione del rapporto tra fisco e contribuente; e la riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale. Il mancato raggiungimento di questi punti costituirebbe un serio pericolo che la riforma sia destinata a fallire o comunque non in grado di dare una seria risposta alla richiesta dei contribuenti di un fisco più equo e meno complicato.

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