Valdegamberi non condivide la posizione del Veneto sul suicidio mediamente assistito

Secondo Stefano Valdegamberi, consigliere regionale veronese del gruppo misto, il suicidio medicalmente assistito è di competenza statale. 

«In assenza di una legge i paletti posti dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 2019 vogliono essere declinati nella prassi sanitaria da una proposta di legge regionale. Mentre la Sentenza della Corte appare molto prudente ed equilibrata l’interpretazione applicativa contenuta in questo testo non lo è altrettanto. Essa apre all’eutanasia farmacologica, persino a domicilio, in modo pericoloso, andando ben oltre le indicazioni dei Giudici Costituzionali».

Valdegamberi ritiene pericoloso lasciare al malato senza speranza la scelta di porre fine alle sue sofferenze mediante il suicidio assistito dal personale sanitario, come il Veneto ha deciso. E sostiene che la scelta più che da una vera autodeterminazione potrebbe essere indotta dallo status psico-fisico del momento. Meglio «attuare fino in fondo le ancora carenti terapie sul dolore e le cure palliative. Le scorciatoie diventano pericolose in una cultura invasa da utilitarismo e efficientismo oltre che dalla necessità di contenere i costi sanitari».

Pur essendo contrario all’accanimento terapeutico, Valdegamberi sottolinea che l’autorizzazione al suicidio assistito secondo la sentenza della Consulta può avvenire quando “ la persona affetta da una patologia irreversibile sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale”. Ciò significherebbe, secondo lui, «che il paziente è mantenuto in vita da “macchinari” per la ventilazione, l’idratazione e l’alimentazione artificiale. Nell’ipotesi del progetto di legge in esame si lascia intendere che non è così.  Si può decidere di essere condotti alla morte anche mentre si sta curando la malattia persino a domicilio. La questione è molto delicata e insidiosa. Per questo motivo depositerò a breve un progetto di legge in regione sullo stesso tema».

Una posizione rispettabile e rispettosa della vita. Ma l’esperienza quotidiana ci dice che le sofferenze possono essere insostenibili e soprattutto non finalizzate alla guarigione anche se il paziente è a casa sua e non è attaccato a nessuna macchina. E chi dà l’autorizzazione valuta se la persona che chiede di porvi fine è libero e cosciente.

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