Verona, se i giovani scappano dobbiamo ripartire dalla scuola e dal reddito

(di Stefano Tenedini) La sfida di Verona per ricominciare a crescere e per raggiungere una posizione di rilievo verso il 2040, lanciata da Confindustria e Ance (qui l’articolo di ieri) parte dai numeri elaborati dal Cresme nella ricerca sugli scenari strategici per lo sviluppo della città e del suo territorio. Continuiamo il viaggio nella Verona che vorremmo veder sbocciare nei prossimi vent’anni e tentiamo una comparazione con l’Europa e le province italiane sotto il profilo della competitività, che è in pratica la capacità di produrre beni e servizi in modo crescente, attraendo e trattenendo risorse umane e finanziarie, garantendo ai cittadini lo sviluppo equilibrato in termini ambientali e sociali e migliorando le condizioni di vita.

Per questo territori che mostrano caratteristiche simili in termini di reddito pro-capite o di crescita economica non sono sempre confrontabili nel dettaglio: la performance è un dato rilevante, ma va integrata nel il contesto in cui si inserisce. Un sistema che produce beni a buon mercato, ma in condizioni socio-culturali arretrate e ignorando l’impatto ambientale, è competitivo solo sul piano di mercato e a breve periodo, ma è tutt’altro che sostenibile per come lo intendiamo oggi. Solo un’analisi che valuti indicatori molto eterogenei può far emergere punti di forza e di debolezza e i possibili obiettivi strategici per il futuro.

Guardando all’Europa emergere il forte divario competitivo tra le aree “mediterranee” e la Mitteleuropa (Baviera e Ruhr, Scandinavia, Londra, Parigi e l’arco alpino intorno a Lione). E Verona? Poco significativo un confronto con le capitali europee, mentre rispetto alle aree collocate lungo le direttrici di trasporto e di infrastrutture logistiche (fattore di forte valore strategico) potremmo giocarcela medio. In termini economici Verona compie un balzo in avanti ma resta a metà classifica posizionamento tra le città benchmark: le più dinamiche sono sempre tedesche, più l’austriaca Innsbruck. Tra le italiane, Verona è preceduta solo da Bologna e Firenze, con risultati migliori di Padova, Brescia, Bergamo e Venezia. Meno bene gli indicatori della capacità innovativa: tutte le città italiane sono ai margini (perfino Milano), e dominano sempre le aree tedesche e le capitali scandinave.

Innovazione quindi tasto dolente: i pochi brevetti, la bassa scolarizzazione e il poco lavoro per i giovani ci relegano agli ultimi posti, preceduti da Bologna, Padova, Bergamo, Firenze, Brescia e Venezia. La capacità innovativa locale si discosta di poco dalla situazione italiana, specialmente in termini di laureati e disoccupazione giovanile. A Verona solo il 24% degli abitanti in età lavorativa ha un titolo universitario (siamo decimi dietro Brescia, Bergamo e Padova, e al 256° posto in Europa). I giovani senza lavoro sono il 23%, un dato drammatico da comparare con dati inferiori al 5-6% delle città tedesche. Ecco spiegato perché i giovani (con scarse opportunità di lavoro, precarietà, salari bassi e incerte prospettive di carriera) vanno all’estero e l’Italia si perde la parte più innovativa e creativa della società.

Invece i risultati economici ci danno molte soddisfazioni. Il reddito pro-capite dei veronesi è superiore a circa il 60% delle altre regioni metropolitane europee ma tra le città simbolo siamo al 18° posto, lontana dai soliti tedeschi (Monaco e Norimberga) oppure da Lione, da Göteborg e Malmö. A frenarci è la disoccupazione, che seppure bassa rispetto alla media italiana è superiore ai livelli europei. Paragonata al contesto internazionale l’ottimo livello di crescita di Verona appare meno brillante, destino che condividiamo con i connazionali.

Tiriamo il fiato nel turismo, insieme a molte città italiane. Qui tra le presenze, la ricettività, l’attrattività culturale e l’ampia offerta ce la giochiamo, anche se lontani dalle “superstar” come Barcellona, Berlino e Londra, Roma e Madrid. Siamo al 44° posto in Europa e settimi tra le città benchmark, ma le prime quattro sono Venezia, Firenze e Siviglia e Valencia… A Verona comunque il settore turistico rappresenta uno dei motori dell’economia, e questo è evidente da molti indicatori. Pur limitandosi ai numeri del turismo in città, escludendo il contributo dei visitatori del lago di Garda, Verona si caratterizza per un’offerta ricettiva di tutto rispetto, funzionale a soddisfare la domanda legata alla sua attrattività culturale, cui aggiungere il movimento generato dall’indotto fieristico e dal turismo congressuale.

Siamo al 16° posto sulle 274 città europee per posti letto in strutture ufficiali rispetto agli abitanti (circa 87 ospiti ogni mille abitanti nel 2018), al 19° per presenze turistiche in città all’anno (9,7 per abitante), al 22° per visitatori nei musei in rapporto alla popolazione e al 42° per frequentazione dei musei da parte dei turisti. Sono numeri da meta top in Europa, e questo nonostante gli ampi margini di miglioramento: bisogna ancora lavorare molto per prolungare la stagionalità utile, un elemento di debolezza che caratterizza le destinazioni turistiche italiane. In sintesi però il 44° posto tra le città europee è un’ottima performance, anche perché in Italia siamo sesti dietro solo a Venezia, Firenze, Roma, Milano e Napoli.

Un altro dato importante per valutare la competitività attuale e futura di Verona è la sua struttura demografica, di cui abbiamo accennato già ieri. Il capoluogo ha un elevatissimo livello di dipendenza strutturale degli anziani, superiore a più del 79% delle città europee. Significa che Verona è al 57° posto in Europa per peso degli anziani sugli abitanti in età di lavoro, una caratteristica che però accomuna la maggior parte delle realtà italiane. A ciò va aggiunto il basso saldo naturale, ovvero una scarsa natalità, mentre il livello dei flussi migratori è inferiore alla media europea. All’apparenza non sorprende che in uno scenario trentennale Verona abbia quindi una dinamica negativa, cioè un calo degli abitanti. Ma in realtà, quando torneremo a parlare di popolazione in confronto all’Italia, le cose saranno molto diverse. Lo dimostra il fatto che tra le medie città del nostro Paese la performance di Verona non sia così negativa: fanno peggio sia Firenze che Padova, Venezia e Torino.

I dati sono ancora più evidenti nel Veneto, dove a crescere sono solo Verona e Treviso (ma molto meno), mentre tutte le altre realtà locali perdono popolazione. Ora, non sarà vero come cent’anni fa che “il numero è potenza”, ma la dinamica demografica è un segnale di competitività. Infatti il positivo scenario di Verona ne dimostra la crescita economica e una importante capacità competitiva, anche se ci pone un serio interrogativo strategico: come progettare i prossimi vent’anni. Sarà l’argomento del prossimo approfondimento.

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