La guerra sui microchip fra USA e Cina rischia di coinvolgere anche l’investimento – qui il nostro articolo dell’agosto scorso – che Intel ha intenzione di fare in Italia per potenziare, insieme ad altri due mega-impianti in Germania e in Francia, la produzione europea di microchip. L’allarme è di Federico Fubini, sul Corriere della Sera di oggi. Gli Stati Uniti – infatti – non vogliono cedere a Pechino il know how delle produzioni più avanzate né direttamente né attraverso i propri clienti. E, oltre a riportare negli States quanto delocalizzato a Taiwan, stanno negoziando con l’Europa quali microchip possono essere inseriti sui prodotti europei rivenduti alla Cina e quali no.
Spiega Fubini: «È una condizione draconiana. Colossi dell’auto come Daimler, Audi, Bmw montano su ogni loro modello almeno un centinaio di chip di Nvidia, un grosso produttore americano di semiconduttori. Ma per l’auto tedesca la Cina è il primo mercato di sbocco, con un fatturato da circa 19 miliardi di dollari l’anno. Rinunciarvi sarebbe un danno enorme. E molte imprese in Italia vivono delle forniture ai grandi marchi tedeschi, gli stessi che poi esportano nella Repubblica popolare. Il danno arriverebbe molto presto anche da questa parte delle Alpi».
Da qui il programma europeo (col 40% di aiuti di Stato ammessi) per aumentare la produzione continentale anche attraverso il sostegno al maxi-investimento di Intel per situare in Italia, Germania e Francia la produzione di semiconduttori, anche i più avanzati da due nanometri (due miliardesimi di metro), per le esigenze dell’industria europea.
Continua Fubini: «Il progetto di Intel è partito di gran carriera fra marzo e maggio scorso. Prevede un investimento da circa 20 miliardi di euro in una fabbrica di chip a Magdeburgo, in Germania. Un investimento da circa 15 miliardi di euro in Francia per la ricerca e sviluppo nel settore dei chip più avanzati. E un investimento da circa una decina di miliardi in Italia (in ballottaggio la piemontese Chivasso e Vigasio in provincia di Verona) nel cosiddetto “back end”: collocare i microscopici transistor su un sostrato di silicio o di nitrato, in un foglio sottilissimo (“wafer”) che poi viene tagliato da un laser per il cosiddetto “packaging” finale del chip da installare in un auto o in uno smartphone. Per l’Italia sarebbe un investimento estero letteralmente rivoluzionario: la prima volta che Intel mette in produzione la sua nuova tecnologia del “back end”, mai vista prima al mondo. Significa lavoro di altissimo livello per migliaia di ingegneri e specialisti, la nascita di un nuovo distretto, il messaggio al mondo che anche l’Italia può diventare meta di investimenti diretti esteri di questo tipo».
Negli ultimi mesi l’AD di Intel, Pat Gelsinger ha mandato i suoi team a Chivasso e Vigasio per ogni tipo di analisi: vicinanza di buoni istituti politecnici e scuole di ingegneria (bene entrambe), prospezioni del suolo su rischio sismico e di smottamenti, persino analisi delle rotte degli uccelli migratori. Intel si era impegnata a decidere la sede dell’impianto – fra Piemonte e Veneto – entro questo mese, ma improvvisamente non sembra più avere fretta. Sostiene che prima vuole fare altri test sulla sua nuova tecnologia. Anche l’investimento francese sembra in fase di stallo. Va avanti spedita solo la costruzione della fabbrica di chip in Germania, per l’industria dell’auto tedesca.
Un rallentamento sospetto, probabilmente condizionato dalla chiusura, in un senso o nell’altro, del negoziato fra USA e UE. Mario Draghi e Vittorio Colao avevano una interlocuzione diretta con Intel. Ora si attendono le mosse del nuovo governo Meloni e del ministro Adolfo Urso. Per evitare di restare schiacciati dalla guerra USA-Cina.