(di Indro Golarsi ) A Pescara, giovedì 22 febbraio, è stata emessa una sentenza. Una sentenza “inaccettabile” direi eversiva: una sentenza di sostanziale assoluzione. Insomma, una di quelle sentenze che portano ad urlare in aula «Giudice non finisce qui», da parte di uno dei familiari della tragedia di Rigopiano. In un Paese minimamente normale, il familiare sarebbe stato immediatamente fermato dalla autorità. Ma questo è un altro discorso: attiene le aspettative di condanna a prescindere, le reazioni incontrollate, il “voglio giustizia” non importa contro chi e come.
E il dolore dei familiari va sempre rispettato e compreso, senza dubbio.
Altra cosa però è la reazione scomposta, che – almeno – potrebbe essere criticata soprattutto se sa di minaccia. Per il processo Rigopiano c’erano 30 (trenta) imputati; 25 (venticinque) di loro sono stati assolti dopo sei lunghi anni di processo. Troppo poco; dovevano essere condannati tutti e 30, e lo stesso Salvini, che non perde mai occasione di tacere, twitta come un usignolo “questa è una vergogna”: sempre in un paese normale, un ministro che dice una bestialità del genere verrebbe allontanato a calci nel sedere. Quale doveva essere il limite di “tollerabilità”? Forse su 30 imputati, 16 condanne e 14 assoluzioni?
Il teorema orami è questo: se c’è una vittima innocente occorre individuare comunque un colpevole, meglio se più di uno. Un tanto al chilo forse ancora meglio.
Ma il vero scandalo, purtroppo, è in realtà la strumentalizzazione mediatica del dolore, quasi che la “giustizia” si possa avere solo con la condanna senza nemmeno avere lo scrupolo di attendere la famose “motivazioni”. E nel nostro Paese purtroppo siamo maestri in questo atteggiamento, con il paradosso che in troppi casi gli stessi magistrati, all’indomani della decisione e ben prima di depositare le motivazioni, si premurano di pubblicizzare alla stampa a grandi linee il perché della sentenza, ovviamente di assoluzione. Il caso Berlusconi – Ruby ter, quater, quinquies etc etc – è emblematico. Avete mai sentito questa specie di anticipazione in conferenza stampa in esito ad una sentenza di condanna?
Ecco, anche questo atteggiamento inaccettabile e quasi pavido della magistratura è insopportabile: quasi a scusarsi di avere assolto qualcuno.
Non lamentiamoci allora delle forzature giustizialiste e soprattutto riflettiamo sul fatto che nelle scuole i presidi chiamino sempre e solo ex Pubblici Ministeri a parlare di diritti costituzionalmente garantiti e mai Giudici o Avvocati. Insomma: “In nome del popolo italiano, anzi no: solo di una parte”.