(Angelo Paratico) La RAI ha recentemente ritrasmesso un intervento di Walter Veltroni, in occasione del centenario della nascita di JFK, John Fitzgerald “Jack” Kennedy (1917-1963), una delle venerabili icone del nostro mondo moderno. 

Veltroni ha descritto Kennedy con parole sincere e accorate, definendolo una delle figure ideali alle quali tutti i democratici del mondo dovrebbero ispirarsi. Questa impressione viene condivisa, statistiche alla mano, da un gran numero di cittadini americani, sia democratici che repubblicani. Tutto ciò è notevole ma non è facile da spiegare con la logica, perché le ombre sulla sua presidenza e sulla sua vita personale sono assai profonde, anche se tendono a restare confinate entro ai libri di storia, senza scalfire la sua immagine popolare, che resta immacolata.

Mentre ascoltavamo Veltroni abbiamo ripreso in mano un libro pubblicato nel 2013, contenente le memorie di Mimi Alford (nata nel 1943) e intitolato: C’era una volta un segreto.

jfk women5 2000 360ed2d797f6481a9f400268e143e3a6

L’autrice, ormai nonna multipla e vedova, racconta la storia del suo passato come amante di JFK. Dopo esser riuscita per più di 40 anni a mantenere segreta la loro relazione, anche ai propri parenti e agli amici, nel 2003 la sua identità fu svelata da un giornale. Nel libro racconta che una mattina trovò una giornalista seduta sullo scalino del proprio ufficio, che le chiedeva se fosse lei quella Mimi che fu amante del Presidente. In quel momento capì che la sua copertura era saltata e ammise tutto, anche alla propria famiglia.

Nei giorni seguenti fu investita da una vera e propria bufera mediatica e solo più avanti negli anni trovò il coraggio di raccontare la propria versione dei fatti e pubblicò il libretto del quale abbiamo accennato. Inizia con una lettera alla propria nipotina, e le spiega cosa fece sua nonna e chi fosse, nella sua grande purezza e ingenuità. Il libro divenne subito un best seller, a ulteriore testimonianza dell’enorme fascino esercitato da questo sfortunato uomo politico.

Una serie di apparenti coincidenze, nel giugno 1962, portarono Mimi a entrare per uno stage alla Casa Bianca. Aveva diciannove anni, era vergine ed ingenua, una piccola borghese tenuta nella bambagia dalla famiglia e che non aveva idea di come funzionasse il mondo.

La sua bellezza attrasse subito le attenzioni del Presidente, il quale però l’aveva già incontrata alcuni mesi prima e per questo, forse, lo stage non fu una coincidenza. Poi, come accaduto già a molte altre ragazze, Kennedy approfittò sessualmente di lei, possedendola subito mentre le faceva da guida nei propri appartamenti privati e le mostrava la camera da letto dove dormiva con sua moglie, Jackie, in quel momento assente. Come faceva Mussolini a Palazzo Venezia, neppure la baciò sulla bocca e neppure le tolse il reggiseno, ma altri dati più intimi della loro liaison non vengono rivelati.

R 4

Mimi non mostra rancore verso di lui, né tantomeno rabbia verso sé stessa. La loro relazione durò per un anno e durante quel periodo lui se la portò in giro in viaggi all’estero. Anche se Mimi sapeva bene che, oltre a lei, c’erano altre donne, anche prostitute. Mimi, proprio come Veltroni, è ancora affascinata dal suo mito. Era stata in quella Casa Bianca che veniva definita come una “Camelot, con i cavalieri della Tavola Rotonda”.

E mentre coltivava quella relazione, Mimi si trovò un fidanzato, un ufficiale dell’esercito, che poi divenne suo marito ma, a un certo punto, costui doveva essere spostato per sei mesi in una base lontana da Washington. In lacrime, Mimi lo disse a Kennedy, il quale promise di parlarne al comandante in capo delle forze armate. E fu così che il suo amante non venne più spostato. Solo in un caso Mimi ebbe il coraggio di dirgli di no, quando lui voleva “passarla” al fratello Robert. In quella occasione lei gli disse: “Non se ne parla neppure!”. Lui accettò di buon grado e non tornò mai più sull’argomento.

IL FASCINO DI JFK AMMALIAVA TUTTI

Come possiamo spiegare il fascino immortale di JFK? Uno dei motivi fu la sua bellezza fisica e quella sua abbronzatura – anche se poi emerse che era dovuta a una disfunzione renale che gli colorava la pelle – e i suoi capelli, sempre ordinati, per i quali aveva una cura maniacale. O forse furono i suoi abiti, sempre impeccabili. Mimi racconta che arrivava a cambiarsi la camicia sei volte al giorno. E poi non dobbiamo dimenticare quella sua voce dolce, ammaliante, americana come la torta di mele. Certe sue frasi sono diventate leggendarie, anche se forse furono scritte non da lui ma dai suoi assistenti.

Portava un busto di stecche di balena per sostenere la sua spina dorsale, danneggiata durante la Seconda guerra mondiale, e faceva uso di cosmetici per apparire più attraente. Un esempio famoso di questo fatto si trova nel confronto televisivo decisivo per la presidenza con Nixon del 1960, durante il quale egli si mostrò tranquillo e sereno, mentre Nixon sudava e appariva teso. Pochi sanno che uno dei motivi di ciò fu che Nixon aveva una gamba che gli faceva male e, a differenza di Kennedy, aveva rifiutato di farsi truccare, prima di mettersi davanti alle telecamere.

Nikita Krushev e JFK: due mondi (e due epoche) che si sono sempre scontrati
Nikita Krushev e JFK: due mondi (e due epoche) che si sono sempre scontrati

Per via della sua giovanile baldanza Kennedy non riuscì mai a “leggere” e a trattare con un relitto del passato come Krushev. Non capì che i discorsi bellicosi erano riservati al pubblico in Urss e non andavano presi alla lettera. Inoltre, il loro incontro, la sua antipatia per l’uomo al vertice dell’Urss aumentò a dismisura, e questo provocò una grave escalation militare fra le due potenze, che precipitò gli Stati Uniti nella guerra del Vietnam e poi nella crisi dei missili di Cuba, quando si arrivò a un passo dalla guerra termonucleare. Che avrebbe potuto scoppiare se non fosse intervenuto un eroico comandante di un sommergibile sovietico che si rifiutò di seguire ordini che poi si rivelarono errati.

LA CREAZIONE DEL MITO KENNEDY

La strada verso il potere di JFK fu spianata dal padre e dai suoi nonni irlandesi, tutti potenti e ricchi. Si laureò ad Harvard nel 1940, con una tesi intitolata La pacificazione di Monaco, nella quale criticava la prudenza di Chamberlain nell’affrontare Hitler. Una tesi che però divenne maggioritaria dopo il 1939. E la cosa suona ironica perché suo padre, Joe Kennedy, fu ambasciatore degli Stati Uniti a Londra e lui stesso fu a favore del volo a Monaco di Chamberlain: e fu proprio questo che causò la sua rimozione da parte di Roosevelt.

Suo padre lo spinse a pubblicare quella tesi sotto forma di libro, intitolandolo Why England slept con una introduzione di Henry R. Luce, dopo che Harold Laski rifiutò di scriverla, lasciandoci una nota nella quale diceva che quel libro “Era il prodotto di una mente immatura, e se non fosse stato scritto dal figlio di un uomo molto ricco non avrebbe mai trovato un editore”.

Saltando ora da questo suo primo libro al secondo – che ebbe un’importanza enorme per trasformarlo in un credibile candidato alla presidenza – arriviamo a Profiles in Courage, uscito il 1° gennaio 1956, nel quale descrive le vite di alcuni senatori americani del passato, i quali vollero seguire la propria coscienza invece che il proprio interesse. Questa sua opera gli meritò il premio Pulizer e fu un grosso successo editoriale, creando la sua immagine di uomo d’alti principi morali e democratici che dura ancor oggi e che gli permise di spuntarla su Nixon, che era molto più preparato di lui.

La verità emerse solo nel 2008, anche se già in molti la sapevano. Quell’opera fu scritta da un suo assistente che gli scriveva i discorsi, Ted Sorensen. Nella sua autobiografia “Counselor: A Life at the Edge of History” Sorenson raccontò che l’idea iniziale fu di Kennedy ma la ricerca e la composizione furono solo sue. Per mesi lavorò per scriverlo mentre Kennedy era in viaggio o in ospedale. Nel 1957 il giornalista Drew Parson raccontò la storia in tv alla ABC, parlando a Mike Wallace il quale chiese come JFK avesse potuto ritirare il Pulizer per un libro altrui. Parson racconto che in Senato girava una battuta legata al titolo: “Jack dovrebbe avere meno profilo e più coraggio”. 

Joe Kennedy, il padre di Jack, che seguiva la trasmissione, telefonò ai propri avvocati dicendogli di querelare il canale televisivo, chiedendo danni per 50 milioni di dollari, una somma enorme. Qualche giorno dopo Robert Kennedy e il suo avvocato si presentarono presso la ABC, chiedendo una smentita ufficiale o avrebbero preso le vie legali. Il direttore della ABC accettò di smentire, nonostante Wallace e Parson rifiutarono di rimangiarsi quanto avevano detto. La smentita fu effettivamente mandata in onda e nel 1957, senza preavviso e JFK per pararsi le spalle mandò un grosso bonus a Sorensen, che non se lo aspettava e che lo rese felice.

Questo malvezzo degli uomini politici che si fanno scrivere i libri è più comune di quanto non si possa pensare. Lo stesso Winston Churchill, nel 1953, vinse il premio Nobel per la letteratura grazie ai sei volumi della sua Storia della Seconda Guerra Mondiale, in realtà scritti da un gruppo di storici guidati da William Deakin che ebbero accesso a documenti ancora classificati.