Inflazione, perchè quella attuale è diversa da quella devastante degli Anni Settanta

(di Simone Alessandro Cassago) Da alcuni mesi la parola “inflazione” è tornata nel vocabolario comune delle persone, come non accadeva da tempo; la minaccia “inflattiva” aveva già cominciato a farsi sentire verso fine primavera – inizio estate scorsi – qui il nostro precedente articolo – ma, ora, il problema è divenuto ancor più concreto e le minacce per la stabilità economica globale sono sempre più reali. La domanda che tutti si pongono è: cosa sta accadendo all’economia, in termini generali ? Cerchiamo di dare una risposta sulla base di fatti ed elementi concreti. Il balzo dell’inflazione va ricondotto, principalmente, ai seguenti motivi:

  • Difficoltà nella catena di approvvigionamenti (nota anche come crisi della supply chain)
  • Aumento del costo delle materie prime

La pandemia da COVID in tutto questo ha giocato un ruolo importante, in quanto per tutto il 2020 (salvo una brevissima parentesi durante il periodo estivo) i commerci mondiali, tra i vari lockdown e restrizioni adottati per contrastare la diffusione della pandemia, si sono trovati di fronte ad uno stop forzato della produzione, riducendo il loro volume ordinario di scambi di oltre il 70% rispetto al 2019 (in una situazione di ordinarietà). I consumatori hanno subito le medesime restrizioni, al punto che al di là del normale approvvigionamento alimentare, e dell’acquisto di beni via e – commerce (molto incentrati su televisori e computers), anch’essi hanno vissuto la maggior parte del 2020 da reclusi, vista la gravità dell’emergenza sanitaria. Con l’inizio del 2021 hanno cominciato a diffondersi i primi piani vaccinali, subito a spron battuto in paesi come USA – Cina – Israele e Regno Unito e poi, a partire da inizio primavera, in Europa e nel resto del mondo; di conseguenza le restrizioni e i lockdown sono stati accantonati e, dopo un anno di fermo, la domanda di beni è aumentata vertiginosamente; di conseguenza la produzione ha dovuto cercare di adattarsi come poteva per provare a tenere in piedi l’offerta.

 A dare il via alla ripresa di forte domanda di beni sono state inizialmente le due attuali superpotenze. USA e Cina, a seguire sempre Europa – Regno Unito e tutte le altre più importanti economie mondiali. A sostenere la domanda, in generale, hanno contribuito anche i vari piani di ripresa economica post – pandemici (basti pensare al piano di forti incentivi alla ripartenza dei consumi varato dall’Amministrazione Biden nel marzo di quest’anno o al Recovery Plan in Europa, anche se meno diretto e più burocratico). Però la produzione si è trovata in notevole difficoltà a sostenere una domanda così improvvisa e dirompente, anche perché le scorte giacenti nei magazzini non erano affatto sufficienti a poter gestire questo fenomeno così vasto; ci si è quindi trovati di fronte ad una pesante crisi del sistema degli approvvigionamenti, ovvero del complesso ed interconnesso sistema di trasporti e rifornimenti su cui si basano l’economia e i commerci mondiali all’interno del concetto di “globalizzazione” (sistema molto ben rodato negli ultimi 20 anni che, però, è entrato in forte difficoltà durante la pandemia generando una significativa crisi di offerta che non è riuscita a stare al passo con la domanda).

Uno degli elementi fondamentali di questo “impasse” va ricondotto ai problemi che si sono verificati nel sistema dei trasporti; il sistema produttivo mondiale è basato sullo spostamento continuo di merci e componenti da una parte all’altra del mondo; allo stato attuale delle cose gli spostamenti sono divenuti molto più lenti e laboriosi a causa della mancanza di container che, all’inizio della pandemia sono stati utilizzati massivamente per portare mascherine o dispositivi sanitari in paesi come L’Africa e il sud Asia,  e non essendo questi paesi esportatori, far rientrare i container non conveniva.

Quando ci si è trovati dinanzi alla forte ripresa di domanda di beni da parte delle economie più sviluppate, paesi esportatori come la Cina si sono trovati senza container; da rimarcare anche il fatto che, partendo dalla Cina stessa, ed arrivando fino ad altre regioni del mondo (come USA, Gran Bretagna, resto dell’Europa Italia in primis) le operazioni nei porti sono state bloccate a lungo per via della fase pandemica più acuta e che ora continuano ad andare a rilento perché mancano lavoratori. Mancando lavoratori (ormai è diventato sempre più difficile trovare persone che accettino di fare lavori poco qualificati) è diventato difficile stabilire ritmi precisi di scarico e carico dei container; la diretta conseguenza di tutto ciò è stato un aumento eccezionale dei costi di trasporto, i quali (sulle lunghe tratte) sono arrivati a decuplicarsi. Anche il trasporto su gomma è in crisi, in quanto risente del rincaro del prezzo dei carburanti; non dobbiamo dimenticare che il prezzo del petrolio al barile andò addirittura sottozero nella primavera del 2020. Con la ripresa economica il prezzo, manovrato anche dall’OPEC che produce meno di barili di quanto potrebbe in realtà, è salito in modo esponenziale arrivando a toccare, durante lo scorso mese di ottobre, gli 82 dollari al barile; questo “ingolfamento” del sistema di autotrasporti, importantissimo per la catena di approvvigionamenti, ha generato non pochi problemi in quanto essi portano le merci dai container ai magazzini, e da questi ai centri di vendita al dettaglio.

Anche sul fronte del gas e dell’energia elettrica i rincari si sono fatti sentire: nel primo caso a soffrirne di più è l’Europa non autosufficiente ancora dal punto di vista energetico e totalmente in balia della Russia e della sua Gazprom che ha centellinato le esportazioni di gas per favorirne l’aumento di prezzo, annunciando giusto una settimana fa un rientro verso le normali distribuzioni; nel secondo caso a soffrirne di più è l’Italia in quanto la maggior parte della erogazione di energia elettrica avviene tramite il gas metano con inevitabili, pesanti, rincari sulle bollette.

La diretta conseguenza correlata a tutto questo è stato l’aumento dei costi delle materie prime (Legno -Rame – Acciaio – Alluminio – Piombo – Zinco solo per citare le più importanti) in quanto la riduzione dei ritmi di produzione ha aumentato i costi fissi, che hanno gravato notevolmente sul prezzo finale della materia prima stessa. Con la ripartenza post covid, il forte aumento di domanda di materie prime (come il legno e i metalli) ha creato un effetto speculativo importante a fronte di magazzini di stoccaggio che erano completamente vuoti; da considerare anche il fatto che il più grande esportatore di materie prime (acciaio in primis, tanto caro a noi italiani per la siderurgia e di riflesso per la nostra significativa presenza nei mercati mondiali, come forte produttore ed esportatore di manifatture) ovvero la Cina, ha iniziato ad  esportare di meno e tenere i metalli per puro uso interno. Che dire, un bel circolo vizioso che, come evidenziato nel grafico qui riportato:

ha portato l’inflazione ad un balzo vorticoso che vede gli Stati Uniti, dato della settimana scorsa, segnare un +6,2 % (mai così alta dal 1990, durante i tempi della crisi nel Golfo Persico), mentre la media UE si attesta intorno al 4% (meglio in Italia in cui l’inflazione è stimata sul 3%). In Gran Bretagna siamo arrivati al 4,2%, in Cina al 10,7%, e la corsa sembra inarrestabile e molto preoccupante, soprattutto se comparata alle stime finali di crescita del PIL per il 2021 e le aspettative per il 2022 riportate nel questo grafico redatto dall’OCSE in copertina dove è evidente, se i dati saranno confermati, che il mondo intero può essere già con un piede dentro la stagflazione (ovvero quella fase economica in cui il PIL prodotto in un intero anno è eroso dall’inflazione).

Non è nostro intento creare allarmismi, ma è evidente che i grandi balzi di PIL di USA, Cina, Italia stessa rischiano di essere vanificati dall’inflazione galoppante; in questi frangenti le manovre di politica monetaria sono quanto mai importanti (evitando la retorica delle banche centrali che da mesi parlano di inflazione “transitoria”, visto che con il perdurare dei problemi nella catena di approvvigionamento, e nel rincaro dei costi per le materie prime non si può prevedere una data precisa di normalizzazione).

A fare delle prime, piccole mosse sono state la FED con l’avvio del tapering (ovvero la riduzione graduale degli stimoli monetari sui mercati finanziari tramite l’acquisto di titoli sia pubblici che privati) a partire da questo mese per arrivare alla sospensione totale alla fine di giugno 2022, nell’ottica di evitare lo scoppio di una possibile bolla speculativa considerando il livello davvero elevato dei principali indici di borsa, e la BCE che ha annunciato tramite la sua presidente, Christine Lagarde, una riduzione del PEEP limitando gli acquisti di titoli a partire dallo scorso ottobre, senza però prevedere un tapering con date certe.

Seppur in modo graduale per evitare “scompensi” di mercato, il tapering va bene ma bisogna anche capire come correggere la rotta di tiro dell’inflazione anche con manovre sui tassi di interesse, rivedendoli in maniera graduale al rialzo (la ricetta classica); ma per fare questo è necessario che i governi dei singoli paesi continuino ad attuare nel breve periodo politiche economiche di tipo espansivo e di stimolo all’economia perché il PIL possa reggere l’urto (con gli occhi puntati a non incrementare in modo dannoso i singoli debiti pubblici) . Un dato di fatto certo è che l’iniziale politica comune e coordinata fra le principali banche mondiali ad inizio pandemia, ora è ad un punto morto e questo preoccupa sia economisti che analisti, i quali aspettano la decisione dei prossimi giorni del board della FED per capire se Jerome Powell verrà riconfermato o sostituito; da lì vedremo le evoluzioni.

Concludendo è importate sottolineare che il concetto di “economia circolare” (ovvero un sistema economico in grado di potersi rigenerare da solo garantendo l’ecosostenibilità) prenda sempre più piede, in quanto riuscire a riciclare il più possibile i materiali che vengono usati nella produzione di beni, è un vantaggio notevole in termini di razionalizzazione dei costi, oltre a garantirci la possibilità di vivere in un ecosistema che riduce gli sprechi e migliora la qualità di vita dei propri appartenenti.

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