Jean Pierre Mustier, ex di Unicredit: disciplina per uscire dalla crisi economica

Disciplina. La chiave per uscire dalla crisi economica e sociale della pandemia si chiama “disciplina”. Che non necessariamente deve essere imposta dall’esterno. Jean Pierre Mustier, sino al febbraio scorso Ceo di Unicredit, a WakeUp Italia dell’Università di Verona (il ciclo di incontri con 14 leader proposto dal professor Sergio Noto) parla per la prima volta dopo la sua uscita dal colosso bancario europeo nato anche dalla nostra Cassa di Risparmio e traccia una rotta ideale per uscire dalla crisi. Anche per Verona. E non a caso, la “disciplina” è il punto di partenza. Perchè Mustier, classe 1961, ha iniziato la sua esperienza professionale e di vita all’École militaire di Parigi (dove è arrivato dopo il diploma al Politecnico e prima della successiva specializzazione alla École des Mines), servendo la Francia come ufficiale del REP, il Régiment étranger de parachutistes, della Legione Straniera. E prima di iniziare la professione bancaria alla Societé Generale, Mustier ha lavorato in SudAfrica nell’industria dell’estrazione. «Nell’Armée ho imparato valori che sono serviti nella mia successiva carriera: la leadership che nasce dall’esempio, il buon senso, il saper restare coi piedi per terra, il saper uscire dalla propria comfort-zone».

Dottor Mustier, partiamo dall’Italia? come la vede?

«Dovete imparare ad essere più positivi sull’Italia, ad avere più fiducia. Vedo un Paese meraviglioso, con un grandissimo capitale umano che è perfettamente allineato con le esigenze del 21.mo secolo dove bisognerà saper essere innovativi, uscire dai modelli del passato e dove conterà moltissimo la creatività. Tutti elementi italiani per definizione. E non pensate che questo si riferisca soltanto alla moda: c’è una tradizione manifatturiera, c’è una realtà manifatturiera che oggi è seconda soltanto alla Germania che vede tantissime realtà essere leader globali nel proprio segmento di mercato. La tipicità italiana – un tessuto fatto di realtà che si muovono con molta più “indipendenza” rispetto al tessuto politico o alla centralità dell’amministrazione statale, come avviene in Francia – vi rende più adatti a questo scenario rispetto, proseguo con l’esempio, col modello transalpino dove i grandi colossi industriali nati dagli Anni Settanta in poi sono il frutto di una cultura centralista, con lo Stato attore importante, per un modello culturale identico e standardizzato».

Create a Verona un hub dove le imprese possano discutere sulle sinergie possibili da avviare, sui capitali da attrarre, sui nuovi modelli di business da adottare. Credo che la Fondazione sarebbe lieta di partecipare e finanziare un progetto così

Non vede punti di debolezza?

«Certamente ve ne sono. Uno è sicuramente la carenza di capitale proprio e l’eccessivo ricorso al debito bancario. Prendiamo il dato della capitalizzazione di borsa ed il suo rapporto con l’economia della nazione: negli Usa questo rapporto è del 180%, in Europa del 60, in Francia del 50, in Italia soltanto del 37%. Il gap è evidente. Questo è uno squilibro che ha radici storiche, ma che va riequilibrato. E bisogna farlo adesso, prima che la pandemia finisca, se vogliamo una ripartenza vera. Su questo, molto possono fare i governi e l’Unione Europea trasformando, ad esempio, le garanzie concesse alle imprese durante il primo lockdown in capitale proprio delle imprese. Dovete anche imparare ad aprire le vostre imprese al capitale terzo. E potete farlo anche a livello locale: ad esempio, perchè non create a Verona un hub dove le imprese possano discutere sulle sinergie possibili da avviare, sui capitali da attrarre, sui nuovi modelli di business da adottare. Credo che la Fondazione sarebbe lieta di partecipare e finanziare un progetto così».

Un’ultima domanda: si è rotto il rapporto di fiducia in Italia fra banche e clienti e fra banche ed azionariato diffuso. Come se ne esce?

«Beh, le banche debbono iniziare a guardare di più non soltanto al loro dividendo, ma a quello sociale, quello che coinvolge tutti gli stakeholder. Deve fare scelte etiche – ad esempio, come fatto in Unicredit uscendo dal sostenere l’industria del carbone e le trivellazioni petrolifere offshore dell’Artico, oppure sostenendo progetti di social banking e di microcredito – anche quando queste hanno un impatto sul conto economico a breve termine. Anzi, bisogna guardare soltanto al lungo termine, a quello che ogni impresa può fare nel lungo periodo. E per far questo bisogna adottare una strategia che contempli una condivisione ed una corretta comunicazione di questa ai propri azionisti; bisogna che le retribuzioni dei manager siano parametrate sul lungo periodo evitando i premi legati al breve termine; bisogna scegliere quei business che avranno un positivo impatto a lungo. Così si crea valore vero nel tempo e si ricostruisce la fiducia e la credibilità di una istituzione anche finanziaria».

Ma, per questo, serve appunto disciplina ed auto-disciplina. Nell’aprile 2020 Mustier ha rinunciato al 25% del proprio compenso annuo, pari a circa 300 mila Euro, e al totale la sua remunerazione variabile che poteva giungere fino a 2,4 milioni. Il suo successore, Andrea Orcel, ha già riportato a 7,5 milioni la retribuzione del suo primo anno in Unicredit suscitando non poche polemiche. Ma lui non ha fatto un turno di servizio nella Legione…

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