Letti freddi e culle vuote: la città dell’amore cresce troppo poco all’anagrafe per garantirsi un futuro

(di Stefano Tenedini) La ricerca che Confindustria Verona e Ance Verona – qui e qui i nostri precedenti articoli – hanno affidato al Cresme continua a riservare sorprese, partendo dalla demografia, uno dei carburanti più naturali e istintivi della crescita.

Nel presentare questo lavoro estremamente ricco e articolato, che non può rimanere solo un esercizio intellettuale ma deve trasformarsi in un piano d’azione, Michele Bauli e Carlo Trestini hanno sottolineato che “il nostro territorio può crescere demograficamente: è già vivace. Può rafforzarsi economicamente per rendere solidi i risultati del costante sviluppo. Verona nel 2040 può essere campione di capacità innovativa, ma deve lavorare molto per colmare i suoi deficit. Deve migliorare l’accessibilità e puntare su nuovi business turistici, accrescere welfare e qualità della vita, rafforzare le infrastrutture, punto di forza naturale ma che va inserito in un piano strategico che guardi a un’area allargata”.

Nel quadro che caratterizza la popolazione delle città italiane siamo di fronte a una chiara evidenza: Verona è oggi la prima città del Veneto per numero di abitanti e sua la provincia si conferma negli ultimi anni la più dinamica della nostra regione. Negli ultimi due anni, tra 2017 e 2019, il capoluogo è cresciuto tra i 1812 e i 2333 abitanti, a seconda dei quali dati si prendano in esame: ma sempre crescita è. È un indicatore demografico rilevante rispetto a uno scenario nazionale in forte calo: in cinque anni tra 2014 e 2019 l’Italia, sempre in base alla forchetta statistica precedente, ha perso tra i 550 mila abitanti e quasi 1,2 milioni. Nati e morti vedono ormai prevalere questi ultimi, e la pandemia renderà questa differenza più grave e marcata. E l’immigrazione non compensa la dinamica negativa del saldo naturale.

Restando a Verona: il Paese ha un problema di decrescita demografica, ma anche vero che la demografia è l’indice sintetico della capacità competitiva del territorio. La competizione tra varie zone e città dipende infatti anche dalla popolazione residente. I dati sono chiari e, guardando al Veneto, Verona cresce (un po’ anche Treviso) ma il resto delle province cala. A Milano, simbolo italiano di città attrattiva e vincente, che assicura lavoro e progetti per il futuro, tra 2017 e 2019 sono arrivati 40 mila milanesi nuovi. Lo scenario positivo di Verona si presenta con un lato al sole e uno all’ombra: crescita economica e capacità competitiva da una parte, e necessità di interrogarsi su una strategia e un progetto di sviluppo, perché senza azioni concrete gli indici del passato non assicurano rose e fiori tra 10 o 20 anni.

Prendiamo ad esempio proprio il 2020. I lockdown e la pandemia hanno fatto ripensare a molti cittadini le proprie scelte di residenza, e alcuni sono “sono tornati a casa”. Abbiamo perso 860 abitanti rispetto al 2019, e questa retromarcia minaccia tutti: -2250 residenti a Venezia, -1850 a Padova 1.850, addirittura -8000 a Milano. C’entra anche l’home working che ha riorganizzato il lavoro. Dopo la pandemia tutto questo potrebbe scombussolare i ranking di competitività tra i territori, ridefinendo un’altra volta i modelli insediativi.

L’analisi del Cresme contiene un accurato studio demografico su Verona, la sua provincia e i comuni limitrofi aggiornato ai dati anagrafici 2019, e quindi freschissimo rispetto ai tempi dei censimenti. Lo scenario ipotizza lo sviluppo della popolazione lungo tre linee: una che parte dai periodi precedenti e valorizza l’ultimo quinquennio; e una “alta” e una “bassa” le quali tengono conto dei movimenti migratori. Diciamo subito che, in sostanza, la partita si gioca sulla capacità di attrarre o conservare i giovani più dinamici in età di lavoro. Le curve tra i vari scenari si divaricano soprattutto nel secondo decennio da oggi, cioè dopo il 2029. In pratica Verona nel 2039 potrebbe raggiungere, secondo la previsione “alta” poco meno di 290 mila abitanti, 30 mila più di oggi; secondo la previsione “bassa” scenderebbe a 250 mila abitanti, 10 mila in meno. Per la Provincia la forbice andrebbe da 1 milione e 40 mila abitanti nell’ipotesi “alta” (centomila più di adesso) o perderne 5000 in quella “bassa”, con un saldo di 925 mila. Lo scenario centrale, cioè quello basato sulla prosecuzione del trend attuale, vede la Verona capoluogo nel 2039 con circa diecimila abitanti più di oggi, mentre per la provincia la crescita rispetto ai numeri attuali sarebbe di 50 mila persone.

In tutti i casi una condizione demografica che valorizza i fattori positivi che caratterizzano la capacità competitiva del territorio, e che non molte aree in Italia sono oggi in grado di vantare, ma al tempo stesso presenta anche rischi significativi. Il primo è l’invecchiamento della popolazione, con gli effetti correlati della riduzione delle persone in età di lavoro, dei tassi di natalità ancora più ridotti, un saldo naturale nati-morti sempre più negativo. Sono dati che evidenziano l’importanza dell’attrattività di Verona e delle sue scelte strategiche. E di insistere per delineare un progetto di futuro che tenga conto di tre fattori: la crescita economica, la qualità della vita e un impegno comune di condivisione e corresponsabilità. La vogliamo mettere giù facile? Spingere tutti insieme, e stavolta dalla stessa parte.

La ricerca del Cresme definisce la sfida della popolazione “un pilastro demografico” per lo sviluppo. Non è una partita vinta in partenza, tutt’altro. Verona, rispetto alle 107 province italiane, si posiziona nell’indice sintetico al 18° posto, come area demograficamente vivace in un contesto nazionale caratterizzato da una forte criticità: abbiamo l’indice di vecchiaia inferiore alla media, un saldo migratorio positivo, siamo al 16° posto per quota di giovani e al 17° se si considera il saldo naturale per 100 abitanti. Una buona posizione, ma inferiore all’obiettivo minimo, visto che siamo al 14° posto per abitanti ma addirittura al 10° per il valore economico. In sostanza essere al 18° come indice di sintesi significa avere almeno quattro posizioni che possono essere “scalate” rispetto al peso demografico e dieci per il peso economico. E nessuno ci vieta di puntare ancora più in alto: è questione di scelte.

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