Siamo in piena campagna elettorale e allora ogni scusa è buona per fare polemica. Perfino le quote rosa, una legge giustamente ritenuta da molti, e soprattutto da molte donne, una norma offensiva della dignità di chi vorrebbe tutelare. Non ci sarebbe nemmeno bisogno di affermarlo. Anzi, solo a ricordarlo, è imbarazzante. Ma poiché è un dato assodato che le capacità rappresentative, politiche, amministrative o manageriali non dipendono dal sesso, è assurdo riservare delle ‘quote’ alle donne. Giuste le quote protette per coloro che sono portatori di qualche disabilità. Ma le donne non sono delle disabili! Non hanno bisogno di nessuna quota rosa!
Ma siamo in campagna elettorale. E quindi anche il fatto che nelle 7 nomine del nuovo cda di Veronafiere non ci sia neanche una donna è motivo di polemica. Una polemica di retroguardia e controproducente per due ragioni. La prima, perché appunto rivendicare delle quote riservate alle donne implicitamente rivela una mentalità che le discrimina in quanto bisognose di una qualche protezione. La seconda, perchè, come ha detto il sindaco Sboarina, per Veronafiere « la regola è che, non essendo a controllo pubblico, le quote rosa non sono un obbligo, la composizione del cda è libera come per qualsiasi Spa. Infatti, nel caso di Veronafiere, ognuno degli 11 soci ha individuato le competenze ritenute migliori per gestire questa fase della vita aziendale. La lista unitaria di tutti i soci, compresi quelli privati, è stata composta pensando all’interesse aziendale non ai consensi elettorali di qualche lobby. Lo stesso vale la tempistica. Il rinnovo dei vertici è stato fatto adesso nel nome della continuità aziendale e dell’efficienza della società, che deve stare sul mercato nella ripresa post Covid e non può attendere i tempi della politica. Con buona pace di chi, invece che alle performance economiche, si frega le mani pensando alle lottizzazioni”.