Un quadro lose-lose. Banco-BPM: quale ne sia l’esito sarà una sconfitta per tutti

(di Sergio Noto) Da un po’ di giorni Banco-BPM, quello che una volta era soprattutto il nostro Banco Popolare, è sulle montagne russe, che di questi giorni di agitazioni militari, sono anche più pericolose del solito.

L’odore di bruciato è partito una settimana fa quando Banco-BPM con il volto rassicurante del suo AD ha annunciato utili record per i tempi del Covid e per le performance recenti della banca (https://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/teleborsa/finanza/banco-bpm-utile-netto-adjusted-di-710-milioni-di-euro-nel-2021-131_2022-02-08_TLB.html?lang=it). Un utile netto di 710 milioni e molte altre variabili di bilancio in segno positivo. Troppo poco, troppo tanto per non indurre commentatori dotati di senso e memoria storica a non pensare a un maquillage, che già in altre occasioni era stato usato per alleggerire problemi perduranti e difficoltà che fatalmente riemergono da un momento all’altro.

Poi, quasi a confermare i dubbi di cui sopra, è arrivata la notizia-bomba, in realtà covata da molto, della volontà di Unicredit di acquistare l’ultimo pezzettino della ex banca veronese, costi quel che costi. E così anche la roulette della Borsa si è fatta sentire, apprezzando il titolo sia di Piazza Meda, come quello di Piazza Gae Aulenti. Anche in questo caso un’operazione favorita dalle smanie di grandezza della BCE, che il Governo italiano da tempo asseconda, ma molto più prosaicamente legata alla necessità di mettere sotto lo stesso tappeto due debolezze, certamente quelle di Orcel – salvato dal recente sanguinoso aumento di capitale e preoccupato di evitare il cattivo (in realtà equo) affare cui vorrebbe costringerlo il Tesoro con l’acquisto di MPS – e quelle dei NPL di Castagna, in crisi di solitudine tra le banche italiane.

Sono stati poi alcuni giorni di impennate in Borsa, che al massimo avrebbero potuto far divertire qualche cassettista, non certo i correntisti, gli azionisti e tanto meno gli Italiani, bisognosi di un sistema bancario finalmente più efficiente, c’est à dire meno costoso e più orientato agli interessi di imprese e consumatori. Ma tant’è.

Non sapremo come andrà a finire. Certo il momento è di quelli storici. Prima o poi tutto finirà e di tanti anni di storia veronese del credito non ne resterà un solo mattone sopra l’altro. Se fosse che Unicredit si ingoiasse Banco-BPM, l’ironica nemesi storica sarebbe servita. Altro che, Grecia capta ferum victorem coepit. Qui, dimenticando che notoriamente la somma di due debiti non fa un credito, il successore evaporato di Cariverona finirebbe per annullare in un mare profondo quel pochissimo che resta del Banco Popolare.

La situazione non sarebbe molto differente nel caso in cui Unicredit, per amore o per forza dovesse invece prendersi in carico MPS, rinunciando al boccone certamente meno indigesto di Banco-BPM. Purtroppo, una lunga consuetudine ha portato le banche italiane a pensare ai processi di fusione come a degli affari, per non dire a dei gambling, di cui solo pochi conoscono i reali contenuti. Quest’epoca è finita, forse non le aspettative in tal senso di grandi azionisti e di banchieri.

Ai nostalgici delle operazioni di fusione del passato bisogna far sapere che dopo la crisi economica, il Covid e la sorveglianza della BCE, qualsiasi sia l’esito pagheremo il conto degli errori del passato e ci ritornerà in mente la profezia di Kierkegaard: « sposati, te ne pentirai, non sposarti, te ne pentirai anche, sposati o non sposarti, ti pentirai di entrambe le cose, … credi a una fanciulla, te ne pentirai; non crederle, te ne pentirai anche; credi a una fanciulla o non crederle, ti pentirai d’entrambe le cose…»

Certo il mondo è grande il mercato è diventato globale, non c’è solo Verona, c’è la concorrenza, ma dove sta scritto che noi veronesi dovremmo, sempre e solo rimetterci? Certo non abbiamo dimenticato che noi con le nostre manine sante e la nostra classe dirigente ci siamo ficcati in un cul de sac creditizio dal quale non ne usciremo prima di aver trangugiato fino in fondo l’amaro calice, che è lì che ci aspetta qualsiasi sia il futuro immediato. Il tempo per tornare ad avere una banca che faccia l’interesse del territorio, delle imprese e dei consumatori, che ridia forza allo sviluppo e alla crescita non è dietro l’angolo. Ma dobbiamo lavorarci, impegnandoci con maggiore forza e sacrificio di quanto abbiamo fatto nel recente passato.

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