(di Giovanni Serpelloni) Quando la voglia di normalità vince sulla necessità preventiva, l’epidemia prende forza. Non serve neppure scomodare la modellistica epidemiologica per capirlo. Purtroppo le strade piene, le scuole aperte, i ristoranti e i bar e il ritorno degli assembramenti comporteranno un aumento del mixing sociale e quindi dei contagi. Tutto questo in un’ epoca dove varianti più diffusibili stanno emergendo ovunque.
Non ci vuole un indovino o uno scienziato per capire che cosa succederà tra qualche settimana. Ogni volta che si è mollato la presa l’epidemia ha ripreso forza e questo anche grazie al fatto che non si è approfittato dei periodi di chiusura per riorganizzare le tre aree strategiche per poter governare e controllare l’epidemia: l’organizzazione sanitaria (ed in particolare quella territoriale), l’organizzazione economico-produttiva (soprattutto riducendo la tassazione e i costi fissi oltre che fornendo sostegni reali ed adeguati) ma soprattutto le condizioni psicologiche e sociali della popolazione che appena vede uno spiraglio di riacquistare le precedenti abitudini e di ritornare ad un finta normalità, fa scattare il “liberi tutti”.
Il finto e agognato arrivo poi del vaccino ha completato l’opera de-motivazionale sul dover mantenere ancora i comportamenti e le misure preventive. Tutto questo in un contesto dove la credibilità dei governanti e dei loro tecnici (ministeri e ISS compresi) è messa in forte discussione dalla popolazione dopo le indubbie prove di inefficienza fornite. Teniamo conto inoltre che nessun politico può resistere a lungo all’effetto che le misure restrittive sulla popolazione hanno sul consenso popolare e, nonostante le conseguenze, i governanti (nei regimi democratici) tendono sempre , per conservare la loro condizione, ad assecondare nel tempo la richiesta di “libertà“. A pagarne le conseguenze saranno le fasce più fragili, quelle che dovrebbero essere più protette, e la copertura vaccinale, con questi tempi di realizzazione e le varianti in arrivo, non basterà ad assicurarci in breve tempo un buon livello di copertura sociale.
Per qualche settimana produrremo più pasti, più aperitivi, più scontrini, ci sentiremo più normali e più felici ma saremo dopo poco punto e a capo.
Che fare? Realisticamente e molto onestamente bisogna ammettere che tutte le varie componenti di questa società implicate nel controllo epidemico non sono in grado di esprimere una risposta generale efficiente ed efficace ma soprattutto permanente per fronteggiare correttamente l’epidemia. Stiamo subendo e subiremo ancora quindi le sferzate virali della natura che non conosce la regola dei consensi, non rispetta le zone Arlecchino né il dolore delle morti e delle sofferenze dei malati e soprattutto non concede tregua ed è sempre in anticipo sui contratti aziendali di consegna senza mai averne firmato uno. Questo è quello che la maggior parte degli stati europei hanno saputo esprimere e l’Italia è stata ed è tuttora l’esempio più eclatante. Ma esistono anche altre realtà, anche più complesse del nostro paese (vedi Cina), che hanno affrontato e risolto la situazione attivando contemporaneamente un valido sistema di sorveglianza e di pronto intervento in caso di ripresa anche di piccoli focolai. Allora si può fare? Non è una cosa irrealizzabile ed anche il sistema produttivo, oltre quello sanitario, può tornare ad essere performante. Continuare a singhiozzo con il “liberi tutti” non farà altro che prolungare e cronicizzare una condizione epidemica insopportabile.