Ogni giorno che passa l’affaire Cattolica, con tutti i suoi cascami di fine stagione, continua a riservare notizie e approfondimenti sulle vicende in corso. Di solito quelle economiche, o l’andamento di borsa, o le prescrizioni dell’Ivass. Ma oggi torniamo sull’indagine di Consob legata alla scelta (e soprattutto alle modalità) di sfiduciare l’ex amministratore delegato di Lungadige Cangrande Alberto Minali (nella foto col presidente Bedoni) , presa dal cda della compagnia il 31 ottobre 2019. Per l’Ansa, in due notizie riprese da Prima Comunicazione, la decisione sarebbe stata “il frutto di un lavoro preparatorio durato quasi due mesi da parte del presidente Paolo Bedoni, con il coinvolgimento di consulenti legali e della comunicazione, nonché dei consiglieri che poi avrebbero firmato quella lettera di sfiducia a Minali utilizzata da Bedoni come motivazione del venir meno del rapporto fiduciario tra il manager e il consiglio”.

La revoca delle deleghe, riportano l’Ansa e Prima citando la Consob, “si configura come il risultato finale di un processo decisionale avviato sino dalle valutazioni iniziali trasmesse dallo studio Cera al presidente il 6 settembre 2019 e discusso nelle riunioni del 9 e dell’11 settembre”. “Anche il coinvolgimento del consulente per la comunicazione, a partire dal 6 settembre, ha contribuito a conferire alla notizia il carattere della precisione. Esso infatti dimostra come Cattolica ritenesse ragionevolmente realizzabile la cessazione della carica dell’amministratore delegato, tanto da adoperarsi per la predisposizione di un adeguato e corredato piano di comunicazione al pubblico”.

Sempre da Consob si apprende che Bedoni riceve dallo studio del professor Mario Cera un messaggio che “oltre a recare un elenco di responsabilità a carico del dott. Minali riporta l’indicazione in base alla quale il CdA avrebbe potuto in ogni momento revocare le deleghe conferite, ponendosi solamente un problema di risarcimento del danno, in caso di revoca senza giusta causa”. Il 9 e l’11 settembre si tennero almeno due riunioni, scrive la Consob, “in cui sarebbe stato trattato il tema della revoca e delle relative modalità esecutive, oltre al piano successorio e di comunicazione”. Negli appunti delle riunioni rinvenuti da Consob e appartenenti alla vicepresidente Barbara Blasevich, “risulterebbe individuato un numero di 13 consiglieri che avrebbero poi firmato la lettera di sfiducia nei confronti di Minali“.

Avanti. Il 25 ottobre “una versione della lettera di sfiducia, identica a quella che sarebbe stata firmata dai consiglieri” ma ancora senza le firme, viene inviata dal segretario del CdA e consigliere Lai “al consulente per la comunicazione dott. Comin”, che lo stesso giorno trasmette a Bedoni, a Lai e a Cera “due bozze, tra di loro alternative, dei comunicati che sarebbero stati diffusi dopo la delibera” del CdA: una nel caso di una revoca, l’altra invece nell’ipotesi di dimissioni. Per la Consob è la prova che l’allontanamento di Minali è ormai solo questione di tempo e che Cattolica avrebbe dovuto attivare la richiesta del “ritardo” nella comunicazione al mercato. Il 28 ottobre la lettera di sfiducia, i cui contenuti saranno alla base della revoca, risulta firmata. Il 29 ottobre viene inviata dal vicepresidente Aldo Poli a Bedoni che il 30 ottobre convoca per il giorno successivo per “comunicazioni urgenti del presidente, inerenti la governance della società” il CdA in cui Minali viene sfiduciato. La ricostruzione attribuita dall’Ansa alla Consob, quindi da ritenere verosimile, è la fine della storia. Eventuali contestazioni, dibattiti, attacchi e difese non potranno partire che da qui.

Ma Cattolica, perfino in questo periodo tormentato, è anche business, risparmio, presidio di mercato. E soprattutto garanzie di potersi rimettere in forma rispetto alle richieste delle autorità di vigilanza. Va letta in quest’ottica la notizia uscita su MF-Milano Finanza e quindi ripresa da Citywire secondo cui ben 8 miliardi di asset in gestione alla Cattolica sarebbero già stati trasferiti a Generali. Operazione che avrebbe come obiettivo di ridurre la volatilità del Solvency II ratio della compagnia veronese, da tempo nel mirino dell’Ivass. In base a quanto risulta, infatti, “i cantieri industriali tra i due partner procedono spediti, tanto che a breve dovrebbero essere disponibili i primi servizi Iot (internet of things) per i clienti di Cattolica, nel quadro delle sinergie decise in quattro ambiti di attività: oltre appunto all’Iot la salute, la riassicurazione e l’asset management.

L’operazione che ha portato Generali a sottoscrivere per 300 milioni la prima tranche di un maxi aumento di capitale, diventando azionista di Cattolica con il 27% dopo l’esercizio del diritto di recesso, ha comportato tra l’altro l’ingresso nel CdA della compagnia di tre nomi scelti da Trieste: Stefano Gentili, Roberto Lancellotti ed Elena Vasco. Ora il passaggio degli 8 miliardi di asset gestiti da Cattolica a Generali, rilevano le fonti, “va in questa direzione, perché consente a Trieste di incrementare ulteriormente le masse da gestire e ha appunto l’obiettivo di far scendere la volatilità del Solvency II della compagnia”, anche in vista del completamento della ricapitalizzazione fino ai 500 milioni stabiliti da Ivass.

Per finire si parla di Cattolica anche in casa Banco BPM, dove al di là delle scintille seguite a fine anno al divorzio unilaterale sulla vicenda della bancassicurazione, la partita non si è ancora conclusa. E comunque nel Banco il cantiere di questa area di business è aperto e in attività. “I due partner principali al tavolo sono Cattolica e Covea”, sottolinea SoldiOnLine riprendendo un articolo su Il Sole24Ore, e “l’obiettivo di fondo sarebbe quello di allineare le scadenze temporali degli accordi con entrambi di uno o due anni, per valutare il futuro riassetto con un nuovo partner”, si precisa citando Unipol. Tamburi di pace in riva all’Adige perché alle fonti risulta che “con Cattolica, dopo il primo strappo, si valuta la mediazione. Dopo l’iniziale scontro legale provocato dall’ingresso di Generali e il cambio di controllo, si è accresciuta la volontà di trovare una soluzione condivisa”. Forse portando la scadenza a fine 2022 o al 2023, il che contribuirebbe a tranquillizzare anche i mercati.