La 7ª Sinfonia debutta a Verona sotto la direzione ispirata di Marcus Bosch
(di Gianni Schicchi) La grande musica di Gustav Mahler ritorna al Filarmonico grazie alla programmazione della Fondazione Arena che da tempo intende proporne al pubblico veronese l’intera produzione sinfonica.
Nel concerto di venerdì è andata così in scena, per la prima volta, la Settima Sinfonia “Canto della notte”, con la direzione del maestro tedesco Marcus Bosch, musicista di spessore internazionale, già conosciuto e apprezzato per aver diretto un’altra “prima” nel nostro teatro: un’edizione del Tristano e Isotta di Wagner.
La musica di Mahler, oggi ormai affermata in piena completezza, ha portato nella nostra cultura il valore del cambiamento e quel particolare senso del suono complesso che l’Ottocento sembrava temere e che il Novecento avrebbe presto dimenticato per abbracciare altri nuovi traguardi.
Nella sua Settima Sinfonia (è del 1905) assistiamo ad un radicale cambiamento di carattere e di stile: manca la voce che da sempre in Mahler sta a significare il dolore ed il suono che pare volgere lo sguardo al nuovo che stava nascendo dalla Scuola di Vienna.
Si ascoltino per questo i ritmi funebri dell’Andante dell’inizio, “le sonorità liquide del primo Notturno”, le tensioni timbriche, quasi allucinate dello Scherzo, la musica da camera espressa nel secondo Notturno e la gigantesca costruzione del Rondò finale, con un Wagner che si intravede qua a là nel trascinare una concezione del mondo e della musica ormai superata.
Per eseguirla sembra non ci sia altro da seguire che lasciare scorrere il suono dolente e teso che Mahler ha tracciato nella partitura, valorizzando gli elementi singoli e seguendo il lento e mosso svolgersi dei tempi in alternanza continua.
Sembra un nulla, ma in verità è la cosa più difficile che ci sia: quella di essere trasparenti alla musica, come se l’autore fosse accanto all’orchestra e parlasse per mezzo del direttore per dire ciò che voleva o ciò che vorrebbe aver detto. Si corre il rischio di perdere la propria personalità, di essere inutili ed incapaci al compito intrapreso, di non poter esprimere sé stessi.
Marcus Bosch portavoce di Mahler
Di tale oneroso compito Marcus Bosch si è fatto intelligente portavoce riuscendo a calibrare con molta perizia i vari interventi dell’orchestra e mantenendo altissima la tensione sino dall’incipit.
Accentua e scava quanto è di maggior tormento nella partitura, lasciando gli ascoltatori coinvolti in un reale scontro umanissimo della coscienza. La Sinfonia scorre così con tempi rapidi ed incalzanti, per meno dei settanta minuti tradizionali di musica pura con cui solitamente viene incisa dai più grandi direttori.
Al termine Bosch trionfa perché ricrea davvero la sinfonia senza perdere nulla di Mahler e senza lasciare un solo istante che l’orchestra suoni senza la sua presenza di direttore vivo ed esultante, che intende esprimere il suo ideale di musica totale, di vita per lei e di speranza contro ogni evidenza.
A dimostrare tutta la bravura del direttore basterebbe solo la perfetta realizzazione dello Scherzo, uno dei momenti più fascinosi della partitura, quando la danza popolare accelera vorticosamente e si colora di bagliori demoniaci prima di disintegrarsi.
Al suo seguito l’intera orchestra areniana è concentratissima sulla difficilissima pagina, rinnovando il suo impegno e il suo valore dimostrati largamente con le ottime prestazioni emerse durante tutta la stagione sinfonica.
Grande successo della serata, con numerosi applausi e chiamate in proscenio, dove Bosch addita poi al pubblico le singole parti orchestrali meritevoli di guadagnarsi un suo ulteriore consenso di stima.