Una rivoluzione mancata, il bilancio politico della stagione di Re Silvio

(di Bulldog) Le roi est mort, vive le roi! Nella fatidica tornata elettorale del 1994 il primo turno di rassegna stampa della mattina post voto a TeleNuovo lo facemmo in tre: Francesco Primozich, Fabio Lonardi ed io. La vittoria del centrodestra aveva sparigliato le carte della politica italiana; aveva smentito le previsioni di tutti gli analisti; aveva scardinato la “gioiosa macchina da guerra” che Achille Occhetto aveva organizzato coi DS eredi del PCI che alla Bolognina avevano cambiato logo ma non “oggetto sociale”. Nel giro di pochi mesi, Silvio Berlusconi – sino ad allora protagonista delle cronache economiche con Standa, Mediaset, Mondadori – aveva annunciato a Bologna il suo ipotetico appoggio a Gianfranco Fini candidato contro Rutelli per il Municipio di Roma e, nel famoso discorso “l’Italia è il Paese che amo”, realizzato la sua discesa in campo per ricostruire il campo largo dei moderati italiani orfani di DC, PLI, PRI e PSI spazzati via da Mani Pulite. Per tre ore, mi sembra dalle 6 alle 9 di mattina, raccontammo in diretta titoli e commenti. Poi, colazione al Liston 12 dove trovammo affranti i colleghi che dirigevano La Cronaca, allora quotidiano left-wing della città. E il cappuccino – almeno il mio – risultò davvero dolce…

A distanza di trent’anni, e davanti alle sue spoglie mortali, si può provare a fare un bilancio politico di Silvio Berlusconi. Partiamo dalle cose positive: senz’altro aver sdoganato la destra italiana portandola in un alveo repubblicano e conservatore che oggi le permette di guidare il Paese, per la democrazia italiana un toccasana senz’altro; l’aver messo il tema della giustizia al centro della vita pubblica anche a costo di un accanimento senza eguali; l’aver compreso che esiste in Italia una maggioranza silenziosa coi capelli d’argento che vota (anzi, è l’unica classe che vota sempre) e che anela ad una vita tranquilla (il suo milione al mese per le pensioni minime) dato che è composta in larga parte di umili lavoratori o vedove. Poi, la politica estera: Pratica di Mare e la possibile alleanza Nato-Russia che avrebbe sistemato le scorie della guerra fredda in Europa che oggi sono prepotentemente alla ribalta; la conversione della politica estera da filo-palestinese a filoisraeliana tagliando le zone d’ombra che avevano visto il nostro Paese zona di libero accesso per assassini e terroristi.

Le cose non positive: la rivoluzione liberale promessa non è mai arrivata anche nel periodo di maggior forza di Silvio Berlusconi, ovvero nel suo secondo governo durato dal giugno 2001 al maggio 2006. L’aver messo nani e ballerine a dirigere un partito dove non ha mai contato l’opinione degli elettori, ma soltanto i diktat di Arcore e dei proconsoli locali. Anche quando erano dei conclamati cialtroni. E ancora aver annullato ogni ipotesi di soluzione allo stallo istituzionale che dal 1994 in avanti tiene l’Italia in folle: l’ultima riforma in questo Paese è la legge dei sindaci. Poi una valanga di parole, di bicamerali, di patti della crostata, una tela fatta di giorno e disfatta la sera. Con l’unico scopo di restare indispensabile e quindi al riparo dalle bufere giudiziarie. E ancora, la più grave, il periodo nero di Ruby Rubacuori Mubarak, delle olgettine e delle cene eleganti dove le starlette delle sue televisioni erano protagoniste…non ha perso soltanto il voto delle donne e dei cattolici, ma ha azzoppato l’Italia nel momento di maggiore crisi internazionale. Indebolito dal bunga-bunga non ha potuto fermare Sarkozy (e Giorgio Napolitano) che bombardava Tripoli passando sopra Sardegna e Sicilia, e non ha potuto fermare la speculazione finanziaria cedendo il potere a Mario Monti, un altro che ha distrutto più che costruire questo Paese. E questo sì che è imperdonabile per uno statista che nel suo tempo libero – per me – fa quel che crede. Ma senza creare guai ai propri concittadini.

Ha avuto delle intuizioni geniali. Ha cambiato la politica italiana e ha spiegato a tanti altri politici come fare per vincere usando al meglio i mezzi di comunicazione di massa, la calza sulle telecamere e le fotografie della mamma a centro inquadratura. Ha subito il più colossale assalto giudiziario delle storia italiana, assalta cui ha retto soltanto facendosi forza del suo patrimonio. Altri, probabilmente più colpevoli ma meno potenti, hanno scelto di sfuggire col suicidio ad uno stress ampiamente inferiore al suo. Tutto vero. Ma non mantenuto la promessa originaria: rendere l’Italia un paese più liberale ed aperto, al riparo dalle farneticazioni della sinistra, capace di creare più ricchezza e giustizia sociale. Di avere un più alto profilo internazionale. Alla fine, Berlusconi resterà un’incompiuta politica. Le roi est mort, vive le roi!

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