Birre e vini analcolici, un milione di nuovi clienti in Italia anche se il gusto lascia un po’ a desiderare (tedeschi a parte…)

Birre analcoliche: il loro modello è lontanissimo per il mondo del vino che – preso dalla sua stessa narrazione (e dalla mancanza dei margini che realizzano i colossi brassicoli) – non è stato capace sinora di proporre la grande rivoluzione culturale del no o low alcohol che, per la birra, è arrivata dopo aver preso il toro per le corna ed aver affidato al motorismo sportivo la comunicazione delle proprie bevande senza alcol. Peroni con la 0.0 (prima in Aston Martin e ora in Ferrari), Heineken con la sponsorizzazione di tutto il circus della Formula Uno con testimonial  come Nico Rosberg e Max Verstappen.

I dati di crescita del 2023 confermano le previsioni elaborate appena usciti dalla pandemia: secondo Global Market Insights, nel 2032 queste birre raggiungeranno un giro d’affari di 40 miliardi di dollari con un tasso di crescita annua superiore al 5,5%. Anche l’Europa è un mercato che promette molte soddisfazioni, con un giro d’affari di 11 miliardi di dollari nel 2022 e un tasso di crescita medio annuo (Cagr) superiore al 5,5% nel periodo 2023-2032.

Circana (ex IRI) conferma queste tendenze anche sul mercato italiano. In particolare, il segmento alcohol-free nel canale OffTrade (Gdo) registra +52% nei volumi dal 2019 a giugno 2023, con tasso annuo di crescita a +11%. Anche nel canale OnTrade (Horeca) i tassi di crescita sono in positivo: dal 2019 a maggio 2023, +49%, con tasso annuo del 10,4%.

Birre e vini analcolici, la ricerca SWG

Il risultato è che la birra analcolica è già una presenza stabile nei consumi nazionali, mentre il vino de-alcolato è al momento più un tema di dibattito fra addetti ai lavori, divisi fra puristi e possibilisti, che non una reale opzione di mercato. Ma i consumatori cosa ne pensano?

Un sondaggio SWG appena pubblicato fornisce una risposta abbastanza chiara: il 36% del mercato è interessato al no-alcohol. Si tratta di un milione di nuovi consumatori  e la percentuale passa al 16% fra i non bevitori, al  37/% fra i consumatori occasioni ed al 42% per chi invece consuma abitualmente vini e alcolici.

La generazione Z vede crescere il suo interesse sino al 51% mentre 6 su 10 fra i consumatori abituali di soft driks sono interessati a queste “nuove” bevande. Le donne sono interessate per il 38%.

Fra le ragioni dell’interesse mentre nullo  è l’aspetto culturale/religioso quello che convince di più è l’aspetto salutistico e di sicurezza: si può guidare, fa meno male alla salute ecc. Per noi il dato che appare più incredibile è il 155 del campione che sceglie il no-alcol per il suo sapore e questo deriva, probabilmente, dal passaggio diretto dai soft drinks, a base zuccherata. Potrebbe quindi essere il de-alcolato il passaggio intermedio verso le bevande alcoliche? Presto per dirlo.

Di certo, le birre analcoliche godono oggi di un vantaggio competitivo sul vino abbastanza netto: l’interesse di cui godono è trasversale rispetto all’età mentre il vino senza alcol interessa  consumatori sino a 44 anni.

Un milione di nuovi consumatori è comunque un tesoretto interessante per il comparto vinicolo alle prese oggi con la prima contrazione di mercato, con la prima generazione che lo snobba preferendogli altri prodotti dai superalcolici al low-no alcohol.

Birre analcoliche, la degustazione

Resta il fattore “sapore”. La nostra redazione è andata in una delle catene della GDO più diffuse a livello nazionale e ha fatto incetta delle birre analcoliche presenti. Come vedete dall’immagine si tratta di etichette molto comuni che fanno capo a colossi internazionali della birra, con brand italiani molto noti e diffusi, e a case brassicole tedesche.

La dealcolizzazione fa emergere note di malto in grande evidenza e tende ad appiattire la birra, senza nerbo, e con le note luppolate messe sistematicamente in secondo piano. Le uniche note positive vengono da Clausthaler, da Francoforte, quarant’anni di ricerca  nell’Alkoholfrei scegliendo di interrompere (sempre nel rispetto della legge di purezza della birra tedesca) la fermentazione prima dello sviluppo dell’alcol. In entrambi i campioni provati – l’Originale e la non filtrata con luppolo statunitense Cascade – il palato trova una birra molto vicina agli standard gustativi cui un bevitore medio è abituato. In questo caso, possiamo dire che “the Germans do it better” con buona pace del resto del panel di degustazione.

Ma è evidente che siamo all’inizio di un percorso e che la spinta dei nuovi consumatori costringerà  a lavorare di più su questo aspetto.

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