E se i trasporti stradali rappresentano un importante fonte di inquinamento nel nostro Paese, il loro contributo si somma a quello di altri settori altrettanto inquinanti, come quello industriale che nel 2005 ha prodotto il 30% delle emissioni di SOx e degli Ipa e circa il 25% di quelle di PM10. Idrocarburi policiclici aromatici (Ipa), polveri sottili (PM10), benzene (C6H6), monossido di carbonio, ossidi di zolfo (SOx) e di azoto (NOx), sono gli inquinanti considerati nella classifica dei complessi industriali più inquinanti d’Italia stilata in base ai dati riportati nel registro Ines (Inventario nazionale delle emissioni e loro sorgenti) relativi al 2005. Tra tutti spicca lo stabilimento di Taranto dell’Ilva s.p.a. che da solo emette, sul totale delle emissioni derivanti dagli impianti industriali, ben il 93% degli Ipa, il 40,5% del C6H6, il 73,5% del CO, il 13,9% degli SOx e il 10% degli NOx. Nel caso di questi ultimi due inquinanti un contributo importante alle emissioni arriva anche dalle centrali termoelettriche e in particolar modo dai tre impianti Enel di Brindisi Sud, di Fusina (VE) e di Genova. Tutti dati che dimostrano l’urgenza e l’importanza di interventi e miglioramenti nelle attività industriali e di produzione energetiche per difendere non solo l’ambiente ma anche la salute dei cittadini che vivono a ridosso di questi impianti. Sono ormai noti infatti gli effetti sulla salute dell’inquinamento atmosferico, in particolare delle polveri sottili. Gli studi più recenti evidenziano il ruolo centrale del PM 2,5 (le polveri sottili di diametro inferiore ai 2,5 µm) e ancor più della frazione ultrasottile (le particelle minori di 0.1 micron: “ultra fine particles” o UFP). Ma se in Italia chi vive e lavora nelle principali città non respira un’aria salubre, anche nel resto d’Europa la situazione non è migliore. Secondo il rapporto Ecosistema Europa 2007 di Legambiente e Ambiente Italia su 30 città europee monitorate quasi la metà presentano concentrazioni medie annue di polveri sottili maggiori della soglia stabilita dalla legge. Anche sul fronte normativo non sono arrivati i segnali auspicati: il 10 dicembre scorso l’Europarlamento ha varato la nuova direttiva sulla qualità dell’aria, in discussione da circa due anni. Tra gli elementi di novità sono stati introdotti gli obiettivi specifici per le polveri fini (Pm2,5): 25 µg/m³, da raggiungere entro il 2015. Un limite che, secondo Legambiente, non tiene conto degli studi esistenti, tra cui quelli dell’Organizzazione Mondiale di Sanità, che indicano come valore guida per questo parametro quello di 10 µg/m³. La normativa europea non ha fatto grandi passi in avanti neanche sul tema della qualità dell’aria: pur indicando l’obbligo di intervenire nel caso in cui i valori superino le soglie fissate dalla legge, non sono stati specificati nel dettaglio gli obiettivi da raggiungere e i tempi in cui rientrare nei limiti. Ancora una volta non è stato previsto un sistema sanzionatorio utile a spronare gli amministratori ad attuare interventi realmente efficaci per migliorare la qualità dell’aria. “Siamo in presenza di un fenomeno grave – commenta Rina Guadagnini, responsabile Scientifica di Legambiente – che persiste anno dopo anno. Diffuso su tutto il territorio, come comprovano anche i monitoraggi gestiti da Legambiente con la campagna di rilevamento nei piccoli comuni gestita insieme all’assessorato all’ambiente della provincia di Padova. Secondo Michele Bertucco, presidente di Legambiente Veneto “è cruciale il comportamento della Regione, che invece fino ad ora si è chiamata fuori, delegando il problema ai Comuni. Alcuni agiscono seriamente, altri assumono solo provvedimenti di facciata, e la maggioranza dei piccoli comuni non fa nulla. Servono misure coordinate su scala regionale, provvedimenti strutturali e un deciso rilancio del trasporto pubblico. “Car sharing, taxi collettivi, intermodalità tra bicicletta e treni metropolitani: sono tanti gli strumenti che si possono attuare nel nostro paese per sviluppare un trasporto pubblico efficiente, differenziato e competitivo con il mezzo privato. Ma per vincere la sfida della mobilità urbana – continua Bertucco – è necessario soprattutto, un ruolo decisivo del Governo Centrale che, tuttavia, anche nell’ultima finanziaria ha preferito investire nelle autostrade e abbandonare a se stesso il trasporto pendolare ferroviario che interessa ogni giorno 1.600.000 persone. Secondo l’associazione, in attesa di nuovi finanziamenti dallo Stato, i sindaci dovrebbero mettere in campo misure volte a ricavare i fondi per gli interventi necessari, sulla scia del road pricing di Milano attivo dal gennaio 2008. Il pedaggio per entrare con le quattro ruote nei centri urbani è un provvedimento in cui crediamo, forti delle esperienze positive di riduzione di traffico e inquinamento in grandi città come Londra e Stoccolma. È indispensabile però – conclude Bertucco – che i proventi siano interamente investiti nel potenziamento del trasporto pubblico e per questo vigileremo perché abbia successo e sia davvero uno strumento utile per combattere smog e congestione, liberando i polmoni dei cittadini e le strade della città”.