L’Ariston non fa storia: Calzedonia e le altre industrie italiane che non lasciano Mosca

(di Simone Alessandro Cassago) La paura fa novanta, ma non è sufficiente però per lasciare il mercato russo. Le industrie italiane – compresa la veronese Calzedonia – guardano con attenzione agli sviluppi del caso Ariston, la cui controllata russa è stata espropriata e nazionalizzata dal governo di Mosca, creando tensione fra i due governi, ma non generando l’inizio di una ritirata scoordinata delle aziende italiane con presenza di investimenti in Russia.

Le grandi aziende italiane, ma anche globali, stanno mettendo in luce le diverse strategie di approccio alla risposta dura dell’Unione Europea, e dei 40 partner in tutto il mondo, all’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina. Al momento non esiste un approccio coordinato da parte delle aziende, anche perché la decisione di abbandonare il paese avviene per motivi morali, economici o politici, ma non strettamente legali.

È per questo motivo che oltre 600 multinazionali hanno già preso la decisione di fare un passo indietro, ritirandosi, sospendendo o riducendo la produzione, anche se ancora molte non rinunciano a fare affari in Russia, in particolar modo quelle cinesi (in tre casi su quattro), oppure cercano di prendere tempo per capire in che direzione proseguirà la guerra, al fine di indirizzare al meglio gli investimenti futuri.

In tale contesto rientrano in pieno anche le aziende italiane, le quali dimostrano un tasso limitato di disimpegno dalle operazioni industriali e commerciali in Russia. Come si evince dal grafico qui sotto riportato:

Su 27 gruppi industriali, quasi un terzo ha deciso di rimanere nel paese a causa di “una esposizione significativa” al mercato russo e al rischio sia di andare incontro a pesanti perdite di fatturato, sia di esporsi a grosse incognite di approvvigionamento di materie prime.

La paura, comunque, è divenuta contagiosa e allora, se è vero che l’Occidente ha messo i brividi al Cremlino quando ha minacciato di sequestrare e utilizzare i beni russi detenuti in Europa per finanziare l’Ucraina, allora è altrettanto vero che Mosca è riuscita a far cambiare idea, almeno per ora, ai grandi della terra riuniti nel G7, proprio sullo smobilizzo degli asset.

Ariston, perchè non ci sarà una reazione forte dall’Italia

Il timore di nuovi espropri coatti, come il caso Ariston, di altre aziende straniere presenti in terra Russa, avrebbe portato i leader delle sette economie globali a prendersi una temporanea pausa di riflessione in merito; di certo Putin ha accusato il colpo dinnanzi alla ragionevole prospettiva di 300 miliardi di dollari in asset russi strappati dalle sue mani. E la paura deve averla provata anche lui, reagendo e facendo sue le filiali delle aziende occidentali ancora rimaste in Russia.

Ma anche l’occidente deve aver provato un brivido; come noto, anche su pressione degli USA, nell’ambito del G7 a guida italiana si stava ragionando a carte scoperte, su di una possibile monetizzazione di 3 miliardi di dollari di interessi nel solo 2024, legati agli asset menzionati; Washington avrebbe preferito un accordo politico in tempo utile per il vertice G7, in programma in Puglia il prossimo giugno, ma ecco che, secondo  fonti del Financial Times, ci sarebbero stati dei ripensamenti, nelle stesse ore in cui il governo italiano prova a studiare il modo con cui salvaguardare le imprese tricolori sotto il giogo di Mosca.

Sempre secondo il Financial Times, però, la confisca completa dei beni congelati della Russia non sarebbe più all’ordine del giorno, e il G7 sta studiando misure alternative per ricevere fondi da inoltrare all’Ucraina; questo perché i Paesi Europei vogliono tenersi alla larga da qualsivoglia misura che possa colpire gli asset stessi per timore di ritorsioni, come quelle recentemente avvenute; in buona sostanza, il sequestro avvenuto ai danni sia dell’italiana Ariston, che della tedesca Bosch, firmati da Putin, ha fatto percepire in modo molto chiaro che Mosca, di fronte ad una eventuale confisca dei suoi beni detenuti in Europa, risponderà molto pesantemente.

I paesi Europei, scrive il Financial Times, hanno recepito il messaggio e così il G7 ha abbandonato la strada della confisca, iniziando ad esplorare misure alternative per ricavare fondi. Dal canto suo, l’Ucraina persiste nel chiedere il sequestro totale dei beni confiscati alla Russia;  l’idea originaria proposta dalla Casa Bianca, concerneva nel recuperare 50 miliardi di dollari di finanziamento per Kiev, tramite un prestito o una obbligazione garantita dagli stessi profitti futuri derivanti dai beni congelati.

Ma lo scetticismo verso tale opzione si è sempre fatto sentire, in particolar modo da parte della BCE, per la quale passare dal congelamento dei beni, alla confisca e allo smaltimento degli stessi potrebbe comportare il rischio di rompere l’ordine nazionale che si sta cercando di proteggere. 

G7 Italia, giovedì parte da Verona

Al momento, infine, la preoccupazione maggiore in seno al G7 concerne il precedente che tali provvedimenti creerebbero, cosa che preoccupa anche molti analisti ed economisti; la giurista Philippa Web, docente di diritto internazionale al King’s College di Londra, afferma che il sistema legale internazionale non ha una forza di polizia, ma si basa sul rispetto fondamentale del diritto internazionale; sempre secondo la giurista, il rischio è che se iniziamo a ignorare questi principi altri stati potrebbero usarli a danno dell’occidente, creando un precedente dagli effetti davvero poco desiderati.

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