Banlieue e fallimento dell’integrazione: serve una “città latina”

(di Giorgio Massignan) Premesso che la maggior parte di coloro che per sopravvivere emigrano dai loro paesi verso gli stati più ricchi, non sono responsabili delle terribili condizioni di vita da cui tentano di fuggire.

Premesso che le nazioni più ricche e potenti, con il colonialismo, hanno contribuito a svuotare di risorse i paesi del terzo mondo.

Premesso che la politica delle multinazionali ha sfruttato le popolazioni africane e continua a farlo, condizionando la stessa politica di quegli stati, sostenendo personaggi politici violenti e corrotti.  Premesso che i focolai di guerra sono spesso alimentati dagli interessi occidentali e da quelli della Cina e dalla Russia, per controllare le preziose risorse naturali di quelle zone.

Premesso che la storia insegna che è impossibile bloccare l’esodo delle popolazioni che fuggono dalla fame e dalle guerre.

Premesso tutto questo, è indispensabile che il problema degli immigrati sia analizzato a livello mondiale, considerando le situazioni economiche, sociali, politiche e religiose dei paesi da cui partono i flussi migratori.

Tentare di bloccare quella povera gente ai confini turchi, tunisini e libici, non risolve il problema, anzi, peggiora le condizioni di quei poveretti, costretti a soggiornare nei campi di concentramento del ventunesimo secolo.

È necessario che l’ONU e l’UE, organizzino dei corridoi umanitari per consentire agli immigrati di raggiungere le diverse nazioni europee. In questo modo si eviterebbero le troppo frequenti tragedie sul mare e si stroncherebbero le attività illegali e inumane degli scafisti.

Ovviamente, l’UE dovrà registrare tutti i nuovi immigrati, calcolare i reali bisogni di manodopera dei vari stati dell’Unione e le possibilità di impiegarli, controllando che non accadano fenomeni di nuovo schiavismo e di caporalato.

Contemporaneamente, l’ONU dovrà adoperarsi con finanziamenti finalizzati e controllati, per favorire lo sviluppo dell’economia del continente africano e della democrazia.

Città romane vs banlieue, alle origini del fallimento francese

Ma, va affrontato anche il problema della seconda generazione degli immigrati, anche di coloro che hanno ricevuto la cittadinanza italiana, o degli altri paesi dove sono nati.

Anche gli europei, soprattutto cattolici, quando all’inizio del secolo scorso erano emigrati negli Stati Uniti protestanti, non avevano ricevuto una buona accoglienza, erano stati emarginati e, per lavorare, sfruttati. Vennero spesso umiliati e condannati anche per reati mai commessi. La loro reazione fu altrettanto violenta: mafia e gangsterismo.

È quello che sta accadendo anche da noi in Europa, dove il fanatismo islamico fa da schermo ad una sorta di rivolta contro gli occidentali e il cristianesimo.

In realtà si tratta dell’ennesima lotta di classe, dove i figli dei musulmani immigrati si ribellano alle condizioni abitative, sociali ed economiche in cui avevano dovuto sottostare i loro padri. 

I quartieri dove vive questa gente sono spesso quelli più poveri e, riunire tanti giovani arrabbiati, può provocare reazioni violente.

Si sono formati i gruppi di risveglio islamico in contrapposizione alla cultura delle società occidentali. La stessa interpretazione, sbagliata, della religione islamica nei confronti della donna, ha giustificato e sta giustificando violenze e stupri.

Per evitare che al risveglio islamico si contrapponga quello cristiano e dia inizio ad un fenomeno di violenze tra gruppi di fanatici, è necessario che intervenga l’UE in concerto con i vari stati che la compongono, senza attendere che il fenomeno della violenza diventi più grave.

Ma, oltre agli aspetti sociali, economici e religiosi, va affrontato quello urbanistico. Relegare e ghettizzare i musulmani in quartieri e rioni destinati solo a loro, è molto rischioso e non aiuta certo l’integrazione.

La storia ci insegna che i ghetti hanno procurato solo disagi e violenza. Per questo anche le città dovranno essere progettate prevedendo le conseguenze di un’eccessiva distinzione per classe e per religione delle diverse zone.

La localizzazione delle residenze, dei servizi, delle scuole e dei negozi di vicinato, dovrà considerare le esigenze dei diversi ceti sociali e religiosi, non per dividerli, ma per integrarli tra loro.

Contro l’effetto banlieue: città integrate e non divise per classi

Le città non dovranno più rispondere agli interessi della speculazione edilizia, e neppure rappresentare la distinzione tra i diversi ceti sociali, ma diventare lo strumento che invita e favorisce l’integrazione tra popoli con culture e religioni diverse.

Per questo, risulta indispensabile che la progettazione del territorio sia realizzata dal potere pubblico e non sia influenzata dagli interessi di parte, ma ispirata solo al bene collettivo.    

È necessario evitare che si realizzi la città di consumo turistico, quella delle residenze ricche, quella dei ghetti e quella dei centri commerciali e direzionale, ma una città in cui convivono le varie funzioni, com’era la “città latina”.

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail