Donald Trump, ovvero la vittoria del cambiamento

(di Marco Marturano) The Winner is…Donald Trump. Il mondo e gli Stati Uniti si dicono sorpresi almeno quanto tutti i sondaggisti che avevano previsto una vittoria prima larga e poi stretta ( ma sempre una vittoria) di Hillary Clinton. Il punto vero è : questa vittoria dimostra due cose che possono essere di grande peso se qualcuno cominciasse dopo anni a saperle leggere.
La prima legge che rispetta questa vittoria è la legge del cambiamento.
Come abbiamo scritto prima e dopo le amministrative 2016 italiane, nell’epoca della crisi economica e sociale peggiore di sempre in tutto il mondo e negli stessi Stati Uniti vince chi interpreta più credibilmente il cambiamento e perde chi è’ troppo percepito come protagonista della continuità.
Non è’ una novità neanche negli Stati Uniti. Chi oggi legge trump come l’opposto esatto di Obama dimentica clamorosamente che Obama stava al 2008 come Trump sta al 2016. Obama era il re del cambiamento dopo otto anni di Bush e dopo l’inizio di una crisi globale Made in USA. Obama non a caso vinse su un leader tosto come Mc Cain, ma percepito nonostante tutto (nonostante fossero stati avversari) come il seguito naturale di Bush.
Gli americani volevamo cambiare e Obama era il cambiamento più forte possibile. Come Trump oggi dopo 8 anni di Obama che hanno forse migliorato la situazione rispetto al 2008, ma non hanno risolto i nodi che tengono Stati Uniti e mondo ancora ben dentro la crisi, nonostante i dati sul Pil americano certamente migliori di quelli di tanti paesi europei, a cominciare da noi.
E Hillary Clinton supersostenuta da Obama sommava la continuità con lui alla continuità con gli otto anni di presidenza Clinton di Bill. Aggiungiamo poi che negli Stati Uniti si parla della candidatura alla Casa Bianca di Hillary da quando venne eletto proprio Bill, dal 1992. Doveva essere candidata a succedergli già nel 2000 se non ci fosse stato il fallimento della sua riforma sanitaria (Hillary era ministro della salute) e la vicenda Lewinsky che la costrinsero a limitarsi alla candidatura al Senato a New York.
Ci prova finalmente nel 2008 candidandosi con un messaggio video in line nel 2006 dopo la sua rielezione a New York ma le primarie che la vedevano favorita premiano qualcuno più nuovo e innovatore di lei, Obama. Ed eccola 8 anni dopo nel 2016 a perdere le elezioni dopo aver vinto le primarie con il sostegno di Obama. 24 anni dopo che gli Stati Uniti avevano cominciato a parlare di Hillary presidente.
Un quarto di secolo di anzianità da candidata che la rendeva inevitabilmente la continuità rispetto a Trump che era la novità assoluta sia per stile comunicativo che per profilo.
Del resto a questi ultimi aspetti si collega anche la seconda legge che rispetta il trionfo di Donald Trump: la legge dell’empatia del candidato che prevale sulla pura razionalità della scelta elettorale.
Trump è’ sicuramente un candidato che divide ma che crea fortissima adesione emotiva tra chi cerca il cambiamento radicale anche nello stile oltre che nei contenuti. Hillary paga invece una percezione che nonostante il lavoro evidente fatto su se stessa per diventare più affettiva e popolare è rimasta una donna di potere prima che di popolo, una scelta di testa prima che di cuore.
Peraltro una evidenza già chiara otto anni fa quando fu proprio Obama a metterne in evidenza i limiti di popolarità battendola anche sul calore umano e sullo stile comunicativo oltre che sulla credibilità nel cambiamento.
In Italia abbiamo avuto molti esempi simili, uno dei più clamorosi in una città come Venezia, dove a distanza di 10 anni (2000 e 2010) lo stesso candidato sindaco del centrodestra, Renato Brunetta, viene battuto da due candidati diversi del centrosinistra (Costa nel 2000 e Orsoni nel 2010). Così come nella medesima città lo stesso candidato sindaco del centrosinistra, Felice Casson, viene battuto a distanza di 10 anni (2005 e 2015) da due candidati diversi (uno di centrosinistra, Cacciari nel 2005, e uno di centrodestra, Brugnaro nel 2015).
La legge dell’empatia di un candidato per il ruolo al quale è candidato vale sempre più della razionalità e della forza di partenza. [//]
Un’ ultima considerazione che dovrebbero fare i commentatori proprio sulla base delle leggi che hanno contribuito alla vittoria di Trump. Rispetto a chi sostiene da sempre di tifare per lui (come Salvini )oppure di chi si inventa suo ultra adesso dopo averlo sbeffeggiato (come Grillo) bisognerebbe che si rendessero conto che se fossimo negli Stati Uniti e si dovesse votare per un referendum come quello del 4 dicembre in Italia gli elettori che hanno preferito Trump alla Clinton per la forza del cambiamento che interpreta probabilmente voterebbero SI.
Se il SI significa cambiare davvero l’Italia e semplificare il sistema gli elettori che hanno scelto il cambiamento in America non si lascerebbero sfuggire l’occasione di scegliere il SI.
Magari dopo la vittoria di Trump anche Grillo e Salvini cambiano idea su cosa votare al referendum.

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