Petrolio e gas: dopo 50 anni il rischio di un nuovo shock energetico allarma l’Italia

(di Simone Alessandro Cassago) Da ormai una settimana, una guerra senza quartiere è in corso fra Israele e le milizie di Hamas. Ci sono delle coincidenze storiche anche da non dimenticare, perché proprio in quel periodo, 50 anni fa, terminava la guerra dello “Yom Kippur”, la quale portò l’OPEC (come ritorsione) a varare un pesante embargo petrolifero che mise in ginocchio le economie di mezzo mondo per quasi tutto il perdurare degli anni’ 70.

Ci sono altre analogie con specifico riguardo all’andamento dei prezzi di petrolio e gas?

La prima preoccupazione generale è quella di capire che effetti, questo stallo geopolitico, genererà sui prezzi delle materie prime per eccellenza: ovvero Petrolio e Gas naturale; ma già prima dell’inizio di questo conflitto la situazione su entrambi i fronti non era delle più rosee.

Petrolio, dove nasce la corsa del prezzo del barile

Partiamo da una analisi, in primis, sul Petrolio: qui sotto vediamo un grafico storico a tre mesi dell’andamento dei futures sul Petrolio Greggio, in cui è palese (dopo una pausa alla corsa del caro prezzi avvenuta ad inizio anno), l’importante aumento delle quotazioni da questa primavera ad oggi; ma cosa ha portato il petrolio a salire così vertiginosamente nelle quotazioni?

Durante questi ultimi 3 mesi, si è verificata una forte volatilità del prezzo dell’oro nero, così come per quello del gas naturale, i quali sono sempre stati monitorati nell’andamento con molta attenzione dagli operatori del settore. Per quanto riguarda il petrolio si sono verificate forti tensione nel calibrare al meglio il rapporto fra domanda e offerta, ovvero ci siamo trovati con una strozzatura dell’offerta a fronte di una domanda molto alta. 

A fine settembre le quotazioni del greggio erano arrivate a ben 92,50 $ al barile, generando panico e confusione nei mercati; si è, poi, verificata una pausa ad inizio ottobre con la discesa del prezzo al barile a circa 82,50 $, grazie anche alla decisione degli USA di incrementare le scorte di greggio.

Le scorte sono aumentate, di conseguenza, oltre le attese anche se il prezzo del greggio non è mai sceso sotto la “soglia psicologica” degli 80 euro per l’innescamento di un breakout ribassista (infatti gli operatori di mercato errano palesemente preoccupati che l’offerta di petrolio rimanesse limitata fino a tutto il 2023).

Le preoccupazioni nascevano dalle mosse compiute da Arabia Saudita e Russia, durante la scorsa estate, in quanto queste hanno annunciato l’estensione proprio fino al 2023 dei tagli produttivi, con l’obbiettivo di incrementare le quotazioni del greggio, permettendo ad entrambi i paesi di guadagnare di più dal loro commercio dell’oro nero con l’estero; da tener bene presente che Arabia Saudita e Russia sono  rispettivamente, il primo ed il terzo paese esportatore di petrolio al mondo e un taglio della produzione (con uno scenario globale di forte crescita della domanda) ha generato un deciso impatto sulle quotazioni dell’oro nero.

Petrolio, l’Opec segnala un deficit di produzione

L’OPEC, dal canto suo, ha segnalato di recente un forte deficit di produzione pari a 33 milioni di barili di greggio al giorno, cosa che ha  generato un forte sbilanciamento nel rapporto tra domanda e offerta, con ripercussioni sul prezzo finale alla pompa.


Viene da domandarsi se, ora, a conflitto aperto vi sia il rischio di vedere arrivare le quotazioni petrolifere a ben 100 $ al barile; i rischi possono essere concreti, ma è ancora prematuro stabilire delle stime su possibili mosse dell’OPEC, visto che per ora la guerra vede le milizie di Hamas, aiutate da Iran e dagli Hezbollah Libanesi, contro lo stato di Israele (Il premier israeliano Netanyahu ha dichiarato la guerra totale) supportato dagli USA e dagli altri alleati occidentali. Si spera che non si ripeta la situazione già vista in Ucraina, anche se i rischi di emulazione sono concreti.

Gas, da inizio estate prezzi in forte rialzo

Analizziamo la situazione sul fronte del gas naturale: il grafico sotto riportato evidenzia bene che, anche su questo fronte, dall’inizio dell’estate scorsa i prezzi sono aumentati vorticosamente.

Anche in questa fattispecie del gas naturale, si è verificata una strozzatura dell’offerta in pieno contrasto con un’alta domanda di questa importantissima fonte energetica; ma cosa ha portato a questo impasse?

La, recente, forte volatilità dei prezzi è stata dovuta, principalmente, agli scioperi verificatisi in nell’impianto produttivo della statunitense Chevron in Australia, in cui i lavoratori hanno manifestato a lungo, con rivendicazioni in termini di retribuzione, sicurezza sul luogo di lavoro e nuove regole sul computo degli straordinari.

Lo stabilimento australiano di Chevron produce il 5,1% della fornitura mondiale di gas che gli ha permesso, nel 2022, di essere il maggior esportatore di gas naturale al mondo, e la serrata iniziata a metà settembre e conclusasi circa due settimane dopo, ha generato non pochi problemi sottraendo fisiologicamente l’andamento dell’offerta rispetto alla crescente domanda; in Europa (sciolti i rapporti con Gazprom), si era identificato nella Norvegia, la nazione in grado di coprire il 40% del fabbisogno dei paesi membri.

Allo stato attuale delle cose, nell’ultima settimana, il gas naturale ha subito una lieve battuta d’arresto nella corsa all’aumento del prezzo, anche se una nuova fase rialzista nel breve periodo non è da escludere.

Petrolio e gas, l’Italia deve prepararsi a tirare un po’ la cinghia

Concludendo, possiamo dire che in Italia ci prepariamo ad un inverno problematico, sia per le incertezze geopolitiche in atto, sia perché, con un’inflazione ancora al 5,3% e un PIL stagnante allo 0,8%, il quadro macroeconomico non è dei più rassicuranti; fra un paio di mesi potremo, decisamente, tirare le fila e, nostro malgrado, stringere un po’ la cinghia.

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