Prima della Tosca in Arena. Un trionfo di passione e drammaticità.

(Di Gianni Schicchi) Buon successo per la prima recita di Tosca in Arena, quella di sabato 29 luglio. Molto il pubblico presente (quasi 10 mila spettatori) e fortemente coinvolto dalla vicenda, tanto da applaudire a scena aperta non solo le romanze più famose, Vissi d’arte, E luceavan le stelle, ma anche il momento dell’uccisione di Scarpia del secondo atto, che Aleksandra Kurzak e Luca Salsi traducono di una tragicità fortemente vivida, quasi reale.   

Tosca è un’opera indissolubilmente legata alla sua epoca storica (1800), che non ammette eccessive trasposizioni. Una condizione che Hugo de Ana tenne ben presente quando ne congegnò questo allestimento nel 2006, e che ancora oggi regge benissimo il passo per l’intelligenza e l’ingegno con cui è stato concepito. 

La storia è infatti molto presente, con gli echi della battaglia di Marengo (1800) vinta da Napoleone: un fatto reale, con una data precisa che viene anche annunciata e che fa da sfondo alla situazione drammatica raccontata. 

La Tosca in Arena

De Ana punta spesso su una atmosfera simbolica, più astratta, cercando di tirare fuori il gioco delle intenzioni psicologiche dei personaggi, come fa per l’ambientazione scenografica, con frammenti di un Castel Sant’Angelo bruciato: quasi un filo conduttore, con a fianco trincee e cannoni a simbolizzare la situazione di una guerra sempre presente. E con l’imponente squarcio del Te Deum, al termine del primo atto: una specie di allucinazione di Scarpia nel momento esaltante del suo potere poliziesco.

Il direttore Francesco Ivan Ciampa va sul velluto con quest’opera che ha già incontrato e che sa guidare con estrema lucidità, esprimendone la potentissima teatralità, ma curando altresì una tavolozza timbrica di stupenda raffinatezza. 

Nei panni della protagonista c’è la diva Aleksandra Kurzak che il pubblico areniano già conosce per altri brillanti interventi. Il soprano polacco trova la sua ragion d’essere in una comunicativa immediata, spontanea e in un fraseggio pucciniano espresso con accentazione personalissima, di cui la freschezza e l’assenza di retorica sono gli assi portanti. 

Una Tosca che fonda le proprie ragioni espressive sul canto e sui lavori primari di pulizia del suono, pienezza del timbro, scolpitura della dizione, più che su quelli dell’iperbole vocale, sempre così fittizi. E che sa essere una Tosca giustamente passionale, debordante in una sensualità de evidente teatralità.    

Il marito Roberto Alagna è un Cavaradossi convincente, pieno di slanci, che cesella con squisito abbandono i duetti del primo tempo, trova accenti notevoli nel dialogo con Angelotti e scaraventa un buon la diesis nel momento del “Vittoria”. 

Un Alagna dall’alta scuola di canto, efficacissimo per la sottigliezza nell’uso dei chiaroscuri, dei colori, delle sfumature, anche se non gli si può più pretendere quella brillantezza di 30 ani fa quando Riccardo Muti gli affidò una Traviata alla Scala rimasta poi nella storia.

A completare il cast dei maggiori, Luca Salsi nei panni di Scarpia. Il maggior baritono italiano del momento mostra una emissione sempre robusta, dove gli acuti sono estremamente naturali e facili, l’accento appropriato e interessante. Il tutto potenziato poi da un gioco scenico molto efficace che rifugge dalla platealità e dall’uniformità di una lettura a senso unico. Uno Scarpia che nel momento della morte sa giganteggiare più che mai.

Apprezzabile infine l’Angelotti del giovane basso georgiano Giorgi Manoshvili. Giulio Mastrototaro ricava il difficile ruolo del sagrestano con una vivacità piena d’arguzia. Fra le parti minori, perfetto Carlo Bosi come Spoletta, eccellente lo Sciarrone di Nicolò Ceriani (vero alter ego di Scarpia). 

Dario Giorgelé è un ordinato carceriere, ma sorprende l’intonazione della giovanissima Erika Zaha (un pastorello) che intelligentemente De Ana manda invece a pescare con un amichetto sulla riva del Tevere, ai rintocchi delle campane delle chiese di Roma che introducono il terzo atto. 

Suoni intensi e levigatissimi nella maestosa scena del Te Deum al primo atto, con l’ottimo intervento del coro areniano preparato da Roberto Gabbiani e delle voci bianche A.d’A.Mus. guidate da Elisabetta Zucca

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