Si è spento Giovanni Padovani, uomo di finanza e di fede. Soprattutto, un veronese per bene

(b.g.) Ho conosciuto Giovanni Padovani quando era Segretario della Cassa di Risparmio di Verona Vicenza e Belluno con Alberto Pavesi presidente. Fine anni Ottanta, Udine. CariVerona iniziava ad uscire dal quadrilatero del suo territorio di competenza (Verona, Vicenza, Belluno e Ancona) e ad aprire nuove filiali in quel Nordest che alzava la testa sull’onda di un boom industriale senza precedenti. Con qualche sconquasso strada facendo. In uno di questi c’ero finito pure io che allora guidavo le relazioni esterne della Confindustria friulana. Padovani stava facendo il giro delle “sette chiese” di Udine per presentare la sua Cassa che apriva la sua prima filiale: un ingresso felpato, in punta di piedi, per non offendere la locale Cassa di Risparmio (guidata da un grandissimo presidente e uomo forte della Dc, già presidente della Regione negli anni della ricostruzione del terremoto, Antonio Comelli), la Banca del Friuli (privata, espressione del capitalismo locale) e la Popolare di Cividale. Di risiko bancario ancora non si parlava, la grande stagione delle fusioni sarebbe iniziata da lì a poco. La diplomazia e la cortesia erano d’obbligo, allora.

Venne, assieme a Renzo Cocco e a Piero Villotta (giornalista friulano che aveva lavorato per anni al Gazzettino, a Verona), anche in Confindustria: noi eravamo in ginocchio (avevamo appena visto il presidente travolto dal crack del suo impero) e non mi parve vero di trovare un veronese che cercava spazi. Gli offrì tutto il menù della casa: foresteria e sala convegni di Palazzo Torriani (la nostra sede era in una villa del Settecento nel cuore della città); i quotidiani e la televisione locale capozona che erano nel nostro portafoglio. Noi li aiutammo a conquistare la tradizionale ritrosia furlana, loro ci aiutarono a far dimenticare una vicenda che tutti i giorni ci sfiancava in cronaca. E siccome da cosa nasce cosa, la collaborazione ed il rapporto proseguì negli anni successivi quando il risiko bancario partì alla grande e quando la grande Cassa finì anch’essa nella bufera di Tangentopoli.

In tutti quegli anni tribolati, e intensi, Giovanni Padovani fu una figura di equilibrio che mise sempre l’interesse della sua Cassa al primo posto e cercò sempre di trovare quella soluzione di sistema che avrebbe reso CariVerona centrale nel suo mercato e al sicuro dalle tempeste dei cicli economici. Con la Crup di Antonio Comelli – nonostante i fortissimi legami culturali e politici – l’accordo non andò in porto (la Crup finì nell’orbita di BancaIntesa) così come non si riuscì a chiudere l’ultima opzione che avrebbe tenuto tutto assieme: la Cassa che entrava nella Banca di Trento e Bolzano, cassaforte atesina. Padovani lavorava per un grande polo di finanza cattolico con Verona al centro. Il governo d’allora, invece, D’Alema premier voleva un polo laico molto forte e spinse su Credito Italiano che di cattolico proprio non aveva niente, anzi stava proprio dall’altra parte, ed aveva bisogno di quattrini. Finì così: Roma propose e Verona dispose. Per restare, trent’anni dopo, senza più una istituzione finanziaria propria.

Padovani fece parte del primo nocciolo di personale e dirigenti che da CariVerona gettò le basi della Fondazione CariVerona con Paolo Biasi presidente. Negli anni, diventò presidente della Croce Verde di cui firmò il centenario (la foto si riferisce proprio a quell’evento con Flavio Tosi allora sindaco della città). Non derogò mai dai suoi valori cristiani e questo lo mise in rotta di collisione con la finanza veronese che apparteneva ad un’altra generazione e non si riconosceva proprio in quel montanaro tutto d’un pezzo, incapace della flessibilità richiesta dal nuovo mondo.

Con discrezione, Giovanni Padovani ci ha lasciato ieri. Se n’è andato una persona per bene, un Veronese per bene, che ha amato la sua comunità ed ha lavorato per essa. Con fede e coerenza. Amava moltissimo le sue montagne, adesso le potrà ammirare da più vicino...

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