In margine a “Ombre e figure uno” di Piero Buscaroli

( di Curzio Vivarelli) Se pure è stato stampato nell’anno 2020, al volumetto di Piero Buscaroli “Ombre e Figure uno” è dovuta una nuova recensione per il valore ch’esso ha tanto per lo studioso, quanto per il lettore non superficiale. Tratti dal libro “I luoghi e il tempo” edito per i tipi di Fogola nel 1979 il nostro volumetto raccoglie tre saggi, il primo dedicato a Ponzio Pilato (1976), il secondo a Dante Alighieri (1965), il terzo a Missiroli (di nuovo 1976). D’ognuna delle tre figure lo scrittore imolese abbozza un profilo inusuale, fecondo di riflessioni, utilissimo al lettore che voglia approfondire da solo le proprie conoscenze.

Riemerge nelle agili righe di questo minuscolo capolavoro editoriale di 52 pagine, nel formato di 10 x 15 centimetri e incluso nella collana “Minima Letteraria” di Bietti, quel bellissimo modo di Buscaroli nel guidare il lettore con garbo e senza pedanteria entro la linea tracciata dai vari Burckhardt, Gregorovius et alii, dello studio in proprio, del sublime dilettantismo e dello scandaglio storico a tutto campo senza la tremenda ossificazione dello specialismo universitario, condensata nel saggio irto di note e postille che diviene presto un mattone ma senza muro. 

ll Ponzio Pilato di Buscaroli

Il ritratto di Ponzio Pilato ha quasi più la forma d’un racconto che non quella d’un breve saggio e in esso si restaura, per quel ch’è possibile, la figura assai bistrattata del governatore romano cui è toccata in eredità una trista e certamente immeritata fama. Essendo questo volumetto di Buscaroli poco più che minuscolo, trovo che sia adeguata una recensione brevissima e allora voglio soltanto rammentare la leggenda, che forse è più una notizia tramandata da chi non fu del tutto convinto della trista fama, quale toccò in sorte a questo funzionario imperiale: egli, a dispetto di altre cronache che lo vogliono afflitto da mille avversità in ragione del suo comportamento nelle note vicende, nell’anno 37 fu di ritorno a Roma e visse fino a tardissima vecchiezza, cieco e solitario, venendo a lasciar questo mondo nell’anno 76 della nuova era.

Un epilogo degno per un anziano romano che portava nel nome il ferro, il pilum della cavalleria; ed ecco con ciò il motivo pel quale gli vien dedicato da Buscaroli, in un altro anno 76, il brevissimo e utile racconto: sia una leggenda, oppure cronaca, ovvero ancora una leopardiana illusione, garba immaginare che l’anziano funzionario in toga sia di nuovo tornato fra i colli e par di vederlo camminare curvo, meditabondo, in vista degli scabri, ostili, luminosi paesaggi  laziali!

Dante, l’antistorico

Il secondo ritratto è consacrato con qualche ironia a “Dante, l’antistorico”. Se scrivo, come fo ora, che Buscaroli è autore che va letto, letto, letto, letto e riletto, in tutte le sue opere, lo scrivo a ragion veduta. Il breve ritratto infatti argomenta d’un Dante che viene riscoperto dagli ottocenteschi quale precursore dell’Italia, “suso in Italia bella sorge un laco” leggiamo infatti al canto ventesimo dell’Inferno.

Ma avvisa Buscaroli che convien poco tirarlo a modello degli italiani, perché Dante come individualità fu “l’antistorico” per eccellenza e quindi assai distante dal carattere precipuo degli italiani, se non è stato persino l’opposto esatto: tanto pronti al compromesso e abili nel ricercar l’alleanza del vincitore del momento, salvo poi abbandonarlo quando il vento tira altrove son quelli, quanto saldo e tetragono resta il Poeta nei suoi convincimenti e non recede e, caduto in disgrazia, preferisce l’esilio perpetuo. Egli rappresenta dunque l’esempio di colui che perde su tutta la linea in senso pratico; eppure la sua stella giuoca un tiro impagabile ai suoi nemici e lo vendica assicurando lui un’immortalità quale ben pochi altri possono vantare… 

Come al solito Buscaroli non declina dal suo bello stile, e nel fluire della prosa ci innesta, a guisa di opportuno promemoria, una frase del Villani, il cronista trecentesco, frase atta a circoscrivere uno dei tanti aspetti di quel brusco essere che fu il Poeta della Commedia: “per lo suo savere fue alquanto presuntuoso, schifo et isdegnoso, e quasi a guisa di filosofo malgrazioso non bene sapea conversar co’ laici”. Facile comprendere ch’è assai difficile far di questo carattere un capostipite dei cercatori peninsulari del favore, dell’opportunità, della scusa…

Il lettore de “La vista, l’udito e la memoria” a questo punto, letto il ritratto di Dante, ha un sommesso ripensamento e quindi rammenta quei tenaci e polemici capitoli presenti nel bellissimo e importantissimo volume suddetto, sempre di Piero Buscaroli ed edito pur esso da Bietti, intitolati “Anatomia d’un intervento”, guarda caso del 1965, e poi “Il giovane nazionalismo”, del 1967, infine “Roma e l’Italia” del 1985.

In questi scritti, che io reputo fondamentali sia per capire la nostra storia recente, sia per accorgersi di quanto sia stato ampio ed incomune il senso storico di Buscaroli, chi li legge ne scopre immediatamente la coerenza con la visione che era stata sottintesa nel saggio brevissimo su Dante: se il Poeta era “l’antistorico” anche “il mito di Roma”, il “nazionalismo” ed infine la creatura più fatale di quest’ultimo, ovvero “l’interventismo”, abbisognano di essere riguardati da una mente fredda e scevra della retorica più o meno reboante: gli effetti a caduta si videro non appena il fragile stato unitario fu messo alla prova, prima dalla guerra vinta e dalla pace persa, e poi, trent’anni dopo, dalla guerra persa in modo rovinoso.   

Di tono quasi faceto è invece l’ultimo breve saggio del nostro volumetto ed è dedicato alla “Biblioteca di Missiroli“. Saggio lieve a leggersi eppure poderoso di suggerimenti eruditi che mai tradiscono vanteria di dottrina o noioso specialismo. Si dovrebbe leggere Buscaroli avendo sempre dietro le spalle i cinquanta tomi dell’Enciclopedia Treccani in modo che, essendosi annotati nomi e cose su d’un foglietto, esaurita la lettura della pagina del nostro scrittore imolese si possa poi divagare in maniera simpatica e dottissima annotando, qua e là, qualche notizia interessante su coloro che eran stati nominati da Buscaroli lungo lo scritto.

Di Missiroli conviene conoscerne per sommi capi la biografia e dipoi, tanto per metter a profitto e senza l’uggia scolastica ciò che ci insegna lo scrittore imolese, vedere ad esempio chi fosse stato Augustin Thierry, lo storico francese amico di Guizot, di Thiers e di Alessandro Manzoni, i cui libri su Attila e su Roma antica dalla biblioteca del grande giornalista, che fu un critico acuto dell'”intervento”, finiscono per trovar posto nella biblioteca bolognese di casa Buscaroli. Oppure trovare qualche nota su di un certo Felice Turotti, uno storico che si prese la briga di proseguire gli annali di Carlo Botta e, en passant, scrisse una pregevole “Storia delle armi italiane dal 1796 al 1814”, anch’essa finita a casa Buscaroli.

Per quest’ultimo nome mi incarico io, qui ed ora, di dare un qualche risguardo biografico: il Turotti, lombardo, fu un oscuro professore di scuola agraria e commerciale nella Milano che va dal 1840 al 1863 e fu anche autore serio e prolifico, tanto per l’annalistica che per la biografia (spesso citata è quella del Cavour), senza disdegnare persino uno studio su Leonardo da Vinci e i suoi scolari apparso nel 1857. Eccoci con tale oscuro nome proiettati nel trapasso dal tardo e fatiscente governo austriaco, cui poco insegnava il vigore del vecchio Maresciallo Radetzky, che seppe ben discernere com’erano i milanesi e felicemente si accasò con la Meregalli, l’oscura stiratrice, al clima effervescente della Scapigliatura  che, nelle sue invenzioni e nelle sue cantonate, sembra quasi preludere al futurismo di cinquant’anni dopo! Appunto!

E se non era per Buscaroli, e per il suo gustosissimo scritto sulla libreria di Missiroli, chi mai ci avrebbe potuto suggerire di andar a scoprire chi era questo Turotti, del quale sono scarne assai assai le notizie, senza dover per questo consultare chissà quale tomo di storie o di cronache risorgimentali? Il testo sulle armi italiane dal 1796 al 1814 dev’essere certo notevole, visto che sicuramente in esso vi deve essere narrata qualche storia degli italiani andati in Russia con Napoleone e poi, con i reggimenti a brandelli, ancora presenti a Lipsia o altrove nelle ultime disperate campagne dell’Imperatore!  

E poi ci sono gli studi del Ciàceri su Cicerone e Tacito, pure quelli trasferiti da casa Missiroli a casa Buscaroli. Ma chi era il Ciàceri? Anche qui ci soccorre la Treccani: fu un grande professore e latinista siciliano che, negli anni trenta, produsse vasta mole di studi su Livio, poi sui rapporti stilistici tra Tacito, Svetonio e Cassio Dione, e infine un fondamentale “Tacito nell’opera del Vico”, testo che ancora oggi sarebbe il caso di recuperare e leggere. Oltretutto perché immagino si tratti d’un testo agile e non spropositatamente lungo: non erano prolissi i latinisti di quel tempo… 

Le note rievocative di Buscaroli in margine a questo scritto son gustosissime: si entrava in casa Missiroli a Corso Regina Margherita in Roma e già all’ingresso accoglievano l’ospite delle librerie, irte di volumi, le quali bordeggiavano i muri dell’abitazione arrivando fin nelle camere da letto. La signora Missiroli, per tutti “Madame”, s’era incaricata di far aggiungere da un bravo falegname ad ogni libreria un “attico” in modo da guadagnare ulteriori mensole per collocare i volumi. Non era la biblioteca di Missiroli, racconta lo scrittore imolese, una biblioteca di “bibliofilo”, termine che a me adesso evoca minuziosissime infatuazioni per testi, rilegature, fili, copertine eccetera, bensì era la classica “biblioteca privata borghese” d’un borghese molto sui generis e soprattutto dottissimo.

Missiroli era amante dei libri ma senza le maniacali ossessioni dei bibliofili: un vecchio libro in brossura, ben tenuto e decente nella forma, trovava volentieri un posto nella sua sterminata biblioteca. La quale egli voleva lasciarla in eredità a Buscaroli ma quest’ultimo ebbe il garbo di declinare l’offerta, sviando il discorso ed enunciando una simpatica teoria, abbastanza campata in aria, come quella di vender tutti i libri, volumi rari e preziosi compresi, e con la ricchezza ottenuta dalla vendita fuggire con una bella fanciulla…

Ci sarebbe poi, sempre nello scritto su Missiroli e i suoi libri, l’episodio del quadro manierista con l’assemblea delle ninfe nude nel bosco che quasi di sicuro era di Joseph Heintz Junior, un pittore della prima metà del seicento, decennio più o meno, che venne soffiato a Buscaroli da un concorrente con la graziosa preghiera di lasciar a lui “tutti quei culi che danno allegria”,ma lo lascio al lettore prossimo di “Ombre e figure uno” con, in aggiunta, il compito di studiare o annotare brevemente qualcosa dalla Treccani su questo pittore tedesco, che dalla sveva e luminosa Augusta (Novalis ce lo rammenta) venne ad abitare stabilmente a Venezia e ivi finì i suoi operosi giorni…

Già! Dobbiamo leggere Piero Buscaroli con estrema attenzione perché finalmente grazie ai suoi scritti ci svincoliamo dai pachidermi e dagli ippopotami della cultura e della lentezza universitaria: siamo gettati come dopo un breve intenso addestramento di giovani reclute nel modo alla Prezzolini, alla Papini, alla Burckhardt di farci un’erudizione, viva e utile e snella; l’erudizione fatta di brevi schede compilate e impilate in un raccoglitore oppure delle schede compilate sulle ultime cinque provvidenziali pagine lasciate in bianco del nostro aureo volumetto “Ombre e figure uno”! Una nota stroncatura che Papini e Prezzolini usavano contro qualcuno ai loro tempi era quella di dire: “non sa nemmeno compilare una scheda”! Stroncatura che ora torna utile anche a noi per non farci cogliere alla sprovvista…

Il precettista assoluto per formarsi una biblioteca scopro, naturalmente qui nel nostro volumetto, esser il Naudé, un francese del seicento che fu, appunto, il bibliotecario del cardinal Richelieu e poi del suo successore, il Mazzarino. Naudé scrisse un codice che va ritenuto ancora in vigore: “Advis pour dresser une bibliothèque”.Buscaroli ce ne estrae un paio di frasi illuminanti ma le lascio scoprire al lettore che segua il mio consiglio di procurarsi il volumetto. 

Dilettosissimo invece l’aneddoto che chiude il terzo saggio e con esso il libro: con uno Spadolini che aveva inviato i suoi libri con tanto di dedica a Missiroli e, dopo che la biblioteca di quest’ultimo fu smontata e i volumi, raccolti in cataloghi per temi o per epoche, messi all’asta si preoccupava di riacquistarli. Una delle congetture che ci suggerisce Buscaroli è che il senatore fiorentino li rivolesse indietro per sottrarli ai prezzi assai offensivi cui li offriva il libraio che li metteva in vendita incurante delle dediche autografe dell’autore. Prezzi che sovente nemmeno raggiungevano l’antico prezzo di copertina…

In uno dei suoi testi memoriali, Buscaroli, credo in “Dalla parte dei vinti”, racconta di quando si trovò viso a viso con Spadolini in treno e nell’esplicare per intero l’episodio finisce per dargli anche del cretino. Diciamo che ora si è aggiunto un motivo ulteriore per credere alle ragioni del nostro scrittore imolese…

Da destinatario ed erede di tutta una biblioteca, in una fuggevole sera passata con il celebre scrittore bolognese nella casa di Corso Regina Margherita, a competitore che deve ricercare le belle edizioni del lascito missiroliano nei cataloghi delle librerie antiquarie, il salto fu naturalmente troppo lungo e Piero Buscaroli ci racconta che non ritrovò più i Diari Romani di Ferdinando Gregorovius nell’edizione del 1895. Ohibò! E il lettore, affascinato dallo stile del biografo di Beethoven, si chiede ora: Gregorovius?

Un altro Carneade sepolto nelle Enciclopedie? Estraggo il volume decimo settimo, anno 1933, della nostra benemerita Enciclopedia Italiana ed eccoci projettati nei paesaggi laziali di tra il 1852 ed il 1875, quasi i medesimi che descrisse con tatto poetico Johann Jakob Bachofen nel suo bel volumetto “Das westliche Mittel-Italien”.Il prussiano orientale Gregorovius fu l’autore di un fortunato e monumentale libro intitolato “Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter”, ovvero la “Storia di Roma nell’Evo di Mezzo”, e, in margine a quest’opera, cui seguì anche una “Storia di Atene nel Medioevo”, tenne un fitto diario del suo lunghissimo soggiorno nell’Urbe: le camminate a Paestum con il Burckhardt, il trapasso di Roma da capitale dello Stato Pontificio a capitale d’Italia, et cetera…

Credo sia molto naturale che Buscaroli si rammarichi dell’aver mancato di portar nella sua casa bolognese questi diari editi nel 1895, soprattutto, mi permetto di aggiungere, perché molto probabilmente ad essi erano aggiunti, con l’arte tipografica tedesca del tempo, qui e là, i numerosi disegni a lapis che l’insigne storico abbozzava dei paesaggi di Corsica e  laziali da lui percorsi, con scorci architettonici dei piccoli paesi, le marine inebriate di luce sotto il sole, le quercie o i roveri contorti nella desolata pianura pontina non ancora redenta dalle paludi e dalla malaria.

O ancora le malinconiche vele che attraccano al molo nel porto di Anzio. E in un disegno che potrebbe sembrare un bozzetto per quadro novecentista alla Carrà o alla Soffici, si vedono levarsi nella desolata e piatta superficie senz’erbe e senza messi, i pali conficcati al suolo che recano la linea telegrafica: la prima dello Stato Pontificio fu inaugurata nel 1853 e Gregorovius era a Roma dall’ottobre del 1852…

Quanti e quanti spunti si hanno a leggere i testi di Piero Buscaroli! Quando nessuno più dà ordini, quando i plotoni restano senza ufficiali e nemmeno ci son più i sergenti, anche un oscuro caporale può e deve dar degli ordini: l’Accademia d’Italia non esiste più. Per me esiste ancora quella presieduta da Giotto Dainelli a palazzo Serristori, e di poi a Tremezzo sul lago di Como. Di essa ne fa parte di diritto Piero Buscaroli. Lo nomino io. Per il semplice fatto che nessun altro lo ha fatto. È in ottima compagnia, con i suoi amici Ardengo Soffici, Francesco Messina, con Ugo Ojetti, con Papini…

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail